di SERGIO SIMEONE– Ricordiamo tutti il clima politico nel quale si sono svolte le recenti elezioni europee. I commentatori politici, quasi alla unanimità, dicevano che avremmo assistito ad uno scontro mortale tra europeisti e sovranisti. Se avessero vinto questi ultimi il processo verso una Europa federale avrebbe subito un arresto ed al tempo stesso il modello di democrazia illiberale vigente in alcuni Paesi ex sovietici avrebbe tratto nuova forza per espandersi anche in alcuni Paesi fondatori della UE come la Francia e l’Italia.
Quando abbiamo conosciuto l’esito delle elezioni abbiamo tirato un sospiro di sollievo: il fronte europeista, sia pure con qualche travaso al suo interno (un po’ meno socialisti ed un po’ più verdi) e qualche ammaccatura, ha conquistato una larga maggioranza nel Parlamento. I sovranisti hanno guadagnato dei seggi, ma non solo non hanno sfondato, ma hanno visto cadere l’illusione di poter condizionare la formazione della Commissione.
Quando, perciò, dopo qualche scaramuccia è emersa la candidatura del socialista Timmermans quale Presidente della Commissione, questa è sembrata la logica conclusione della vittoria degli europeisti e del modello liberaldemocratico: Timmermans infatti, oltre ad essere un politico stimato, europeista convinto, nemico della politica di austerità, è soprattutto quello che, in prima persona, ha condotto una dura battaglia per sanzionare quei Paesi che, come l’Ungheria e la Polonia, hanno cancellato la liberaldemocrazia.
Ma proprio queste doti, anziché essere considerate titoli di merito (e tali erano apparse a Tusk che aveva avanzato la proposta), sono apparse titoli di demerito a quei Paesi che erano stati colpiti dalla sua azione coraggiosa, i quali hanno dato parere negativo alla sua candidatura. E fin qui nulla di strano. E’ invece molto strano che tanto è bastato a Merkel e Macron per far cadere la sua candidatura.
E’ così nata la candidatura di Ursula von der Leyen, pupilla di Angela Merkel. Ma con la nuova candidata le cose stanno andando ancora peggio che con la bocciatura di Timmermans: la Leyen, con le sue linee programmatiche, soprattutto in materia di politica sociale e di difesa dell’ambiente, è riuscita ad alienarsi le simpatie dei verdi e di buona parte dei socialisti. Ma invece di fare un passo indietro, sta pensando addirittura di chiedere i voti dei deputati sovranisti polacchi ed ungheresi. Si passerebbe insomma da un candidato Presidente chiaro ed indiscutibile campione di una Europa federale, sensibile ai problemi sociali ed ambientali, saldamente liberaldemocratica, ad un Presidente ostaggio di quelle forze oscurantiste che proprio Timmermans aveva così coraggiosamente osteggiato.
Si dice che una parte dei socialisti europei non è disposta a votare la Leyen. Come, solo una parte? E’ tutto il gruppo socialista che deve elevare una diga per fermare questo sciagurato progetto. E in prima fila ci deve essere il PD di Zingaretti. Il neo segretario, più volte criticato per il suo atteggiamento attendista su una serie di questioni importanti, ha annunciato finalmente di voler prendere di petto i problemi. Ecco, a portata di mano, una formidabile occasione per dimostrare che è capace di passare dalle parole ai fatti. Chieda subito una riunione dei partiti socialisti europei. Denunci che questa candidata appare ormai come un cavallo di Troia dei nazionalisti illiberali e faccia in modo che tutto il gruppo socialista, compatto, si schieri contro la scellerata operazione allestita da Merkel e Macron. Questo sarebbe per gli elettori di sinistra un segnale chiaro che la “rivoluzione” annunciata Zingaretti la voglia fare davvero.
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