Il Pg della Cassazione Riccardo Fuzio anticipa la sua uscita dalla magistratura: doveva restare sino al 20 novembre, lascerà tra una settimana, il 21 luglio. Lo fa con “rammarico”, dopo aver constatato che “non sussistono le condizioni interne per garantire la piena funzionalità della Procura generale” della Cassazione. La decisione è stata comunicata due giorni fa al Csm, al Ministero della Giustizia e ai colleghi della Procura generale.
Il 4 luglio scorso Fuzio aveva comunicato al Capo dello Stato la sua decisione di andare in collocamento a riposo anticipato. Un passo indietro, apprezzato da Sergio Mattarellla, dopo le polemiche seguite alla pubblicazione dell’intercettazione di un colloquio tra lui e il pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione. Il Comitato di presidenza del Csm, di cui Fuzio è componente di diritto, gli aveva chiesto però di restare il tempo necessario alla nomina del suo successore.
Le ragioni per cui tutto questo non è più possibile sono spiegate in un comunicato diffuso dall’avvocato Grazia Volo, che assiste Fuzio nel procedimento che è stato intanto aperto a Perugia per rivelazione del segreto d’ufficio. “Il Procuratore generale Fuzio aveva aderito all’invito di garantire la continuità delle attribuzioni assegnate all’ufficio della Procura Generale fino alla data del 20 novembre 2019”. Ma “nella giornata dell’11 luglio 2019, avendo constatato che, nonostante la vicinanza della gran parte dei magistrati dell’Ufficio, non sussistono le condizioni interne per garantire la piena funzionalità dell’Ufficio della Procura Generale nel rispetto dei criteri organizzativi, ha modificato la precedente decorrenza e, con rammarico, ha chiesto di essere collocato a riposo anticipatamente dal 21 luglio 2019”.
“Ancora un atto per spirito di servizio per poi poter liberamente esprimere il proprio pensiero sulla intera vicenda”: così nella nota diffusa dall’ avvocato Grazia Volo viene spiegata la decisione del Pg della Cassazione Riccardo Fuzio di lasciare in anticipo la magistratura per essere venute meno le condizioni in grado di assicurare la piena funzionalità del suo ufficio. “Solo così – aggiunge la nota – si affronterà il nodo della esclusiva titolarità della azione disciplinare”.
I motivi della sospensione (dalla funzione e dallo stipendio)
decisa dalla Disciplinare del Csm per il pm Luca Palamara
Ha tenuto comportamenti così gravi da “compromettere” la sua “credibilità”, anche sotto il profilo dell’imparzialità e dell’equilibrio”. E’ con questa motivazione che la Sezione disciplinare del Csm (come abbiamo già riferito) ha deciso di sospendere dalle funzioni e dallo stipendio e di collocare fuori ruolo il pm romano Luca Palamara, indagato a Perugia per corruzione. Una misura drastica che serve a impedirgli – come spiega l’ordinanza – di “esercitare in qualunque sede” la sua attività di magistrato.
Lui – che è deciso a difendersi sino in fondo – e i suoi legali, hanno già annunciato il ricorso alle Sezioni Unite civili della Cassazione. Finché il provvedimento resterà in piedi gli sarà corrisposto un assegno alimentare. A costare caro a Palamara sono stati ancora una volta i suoi rapporti con l’imprenditore e amico Fabrizio Centofanti, a cui avrebbe messo a disposizione le sue funzioni di magistrato in cambio di viaggi e regali, secondo l’ accusa dei pm di Perugia. Il Csm ha ricevuto le carte dell’inchiesta penale e nota che le intercettazioni dei loro colloqui accreditano “l’esistenza di un costante e consolidato rapporto”, segnato dalle “utilità” erogate da Centofanti a Palamara, e fanno persino “supporre che (oltre a quelle documentate) ve ne siano state di ulteriori e non accertate”. Ma un peso importante nella decisione del Csm lo ha avuto quello che la Sezione disciplinare definisce “il risiko giudiziario” che Palamara avrebbe messo a punto per “interessi personali”, come quello di “screditare taluni magistrati a vantaggio di altri”. E’ il riferimento alle cene e agli incontri in cui Palamara discuteva con Luca Lotti (imputato nel processo Consip), Cosimo Ferri e cinque consiglieri di Palazzo dei marescialli (quattro si sono dimessi, il quinto, Paolo Criscuoli, è ancora autosospeso) della nomina del successore di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma e del vertice di altre Procur, compresa quella di Perugia, da cui sapeva di essere indagato. Lui si è difeso dicendo che in quegli incontri non c’era nulla di male, erano solo “momenti di libera espressione di idee e opinioni”. Ma per la Sezione disciplinare le cose non stanno affatto così: c’era invece una vera e propria “programmazione delle azioni ritenute necessarie” ai propri obiettivi, tra cui quello di diventare procuratore aggiunto nella capitale e individuare un procuratore di Roma “sensibile” alle sue vicende personali. Che non fossero semplici scambi di idee lo prova anche il fatto, secondo i giudici, che quelle conversazioni non avvenivano con “occasionali e indifferenti interlocutori”, ma “con un soggetto indagato e poi imputato (l’on. Luca Lotti) da una delle procure di gioco (quella di Roma)”.
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