Il pm chiede che Virginia Raggi venga condannata a dieci mesi per “falso ideologico” sulla nomina del fratello di Raffaele Marra. Ecco che cosa potrà accadere

 

La sindaca Virginia Raggi quando assistette alla lettura della sentenza al processo “Mafia Capitale”. In primo piano il pm Tescaroli

Dieci mesi di reclusione: questa la richiesta, piuttosto sconcertante, del pubblico ministero Francesco Dall’Olio per la sindaca di Roma, Virginia Raggi, nel processo che la vede imputata per “falso ideologico”, cioè per l’accusa di aver dichiarato alla rappresentante della Trasparenza del Comune che l’allora vice capo di gabinetto Vincenzo Marra non aveva avuto una influenza determinante nella nomina di suo fratello, Renato Marra (vice capo del corpo dei vigili urbani), all’incarico di capo del dipartimento Turismo del Campidoglio (nella foto accanto alla Raggi).

Il procuratore aggiunto, Paolo Ielo, ha chiesto per la sindaca le attenuanti generiche. Ielo, a sostegno della sua tesi  circa l’interesse della Raggi a dichiarare il falso, ha estratto dal cilindro  un “movente politico”, cioè la Raggi sarebbe stata indotta a mentire per la necessità di coprire non tanto il possibile abuso d’ufficio in concorso con Marra (accusa poi archiviata) quanto una possibile apertura di un fascicolo a suo carico all’interno del M5s che, in base al “codice etico” grillino, le avrebbe potuto procurare il deferimento ai probiviri del partito con annesso rischio di essere espulsa (o addirittura di doversi dimettere da sindaca a poche settimane dalle elezioni). Raggi, nella successiva dichiarazione spontanea, ha replicato a Ielo ricordando che “quell’articolo del codice etico, nella prassi, non è mai stato applicato fattivamente, tant’è vero che poi è stato modificato”. A sostegno di questa tesi, la sindaca ha ricordato la vicenda di Filippo Nogarin, sindaco di Livorno indagato (e poi archiviato) nell’ambito delle indagini sulla procedura di concordato preventivo dell’azienda della nettezza urbana, e di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, per alcuni appalti al Teatro Regio. “Nogarin – ha spiegato Raggi – ha detto subito di aver ricevuto notizia di reato e non è stato espulso, mentre per Pizzarotti è stato diverso, perché non  comunicò al M5s di essere indagato, ma non certo perché era indagato”.

Nella sua requisitoria il pm Francesco Dall’Olio ha detto che “è pacifico che si tratti di falso ideologico in atto pubblico“, ricordando il ruolo di Raffaele Marra e il rapporto di stretta collaborazione con Virginia Raggi.

La sentenza è prevista per domani. Oggi è stato il giorno della lunga deposizione della principale accusatrice di Virginia Raggi, l’ex capo di gabinetto, la magistrata torinese  Raineri, la quale ha sostenuto che Raffaele Marra, benché suo vice, era il “deus ex machina” in Campidoglio e che certamente è stato l’ispiratore della nomina  del fratello a capo del Turismo. Da rilevare, però, che la Raineri ricoprì la carica solo per un mese e che quando quella nomina avvenne lei non era più capo di gabinetto, ma se ne era tornata a Torino.

La sindaca nella dichiarazione spontanea ha ribadito di aver deciso di propria iniziativa il trasferimento di Renato Marra dal vertice del corpo dei Vigili urbani a quello del Turismo e che quindi non vi è stato nel provvedimento alcun conflitto d’interessi.

Che cosa potrà accadere se

 Virginia venisse condannata

Che cosa accadrà se la sentenza del giudice dovesse accogliere la richiesta dei due pubblici ministeri di condanna di Virginia Raggi? Se il codice etico di M5S sembra – anche a detta di Luigi Di Maio – “parlare chiaro”, il tema ‘exit strategy’ in caso di condanna della sindaca è uno scenario non del tutto irreale. Diverse le ipotesi che si rincorrono: da quella di andare avanti tutti, sindaca e maggioranza, senza il simbolo dei Cinque stelle, a quella di ricorrere ad una sorta di consultazione on line sulla piattaforma Rousseau per far esprimere la base M5S sul “lasciare o restare”.

La seconda opzione potrebbe prevedere le dimissioni della sindaca e il conseguente avvio della consultazione. Le dimissioni, come da regolamento, diventano effettive dopo 20 giorni e in questo periodo Raggi potrebbe ritirarle in caso di esito positivo del ‘referendum on line’. Lo stesso Ignazio Marino, spinto dall’ inchiesta sulle spese e gli scontrini, si dimise ma poi ritirò le dimissioni entro i 20 giorni per poi finire il suo mandato con le dimissioni in massa dei consiglieri del Pd davanti ad un notaio.

In alternativa alle dimissioni potrebbe essere valutata anche la possibilità di un’autosospensione della sindaca dalla sua carica, un po’ come fece il sindaco di Milano Giuseppe Sala alla notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati per la vicenda Expo. In entrambi i casi, a prendere per un periodo le redini di Palazzo Senatorio sarebbe il vicesindaco Luca Bergamo (che proprio di recente ha dichiarato che a suo avviso si dovrebbe andare avanti in ogni caso).

La strada della consultazione on line tramite Rousseau, emersa nei rumors come ipotesi B, desta però qualche perplessità nel Movimento in quanto costituirebbe un precedente difficile da spiegare in altre, future, situazioni analoghe.

L’altra opzione, ovvero il continuare senza simbolo M5s, in linea di principio, dovrebbe coinvolgere non solo Raggi, ma l’intera maggioranza pentastellata. Tutti i consiglieri a quel punto, per sostenere una sindaca non più M55 (potrebbe, ad esempio, intervenire un’autosospensione di Raggi dal Movimento) dovrebbero rinunciare a stare sotto l’egida pentastellata e a trasferirsi in blocco nel gruppo misto dove ora alberga Cristina Grancio, la dissidente M5S che criticò da subito il progetto sullo stadio della Roma finito al centro di un’inchiesta.

Per ora in Campidoglio l’argomento non è mai stato affrontato in maniera ufficiale. Ma a microfoni spenti le posizioni dei consiglieri pentastellati hanno sfumature diverse. C’è chi sottolinea che nessun sindaco si è mai dimesso per una cosa del genere, chi si dice contrario alla prospettiva di andare avanti senza simbolo, chi non esclude la possibilità che si possa andare avanti con una Raggi senza simbolo, supportata da un gruppo che invece lo mantiene. La parola d’ordine, in ogni caso, resta ottimismo sulla possibilità di assoluzione.

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