Il senatore Gregorio De Falco chiede di tornare ‘a bordo’. E’ ufficialmente partita la sua battaglia legale con i vertici del Movimento 5 Stelle. L’ex capitano di fregata ha deciso infatti di
impugnare il provvedimento di espulsione decretata dal collegio dei probiviri M5S lo scorso 31 dicembre, dando mandato all’avvocato Lorenzo Borrè (‘bestia nera’ dei pentastellati alla luce dei vari ricorsi vinti in passato) di procedere con l’atto di citazione nei confronti dell’Associazione M5S nella persona del capo politico Luigi Di Maio, depositato presso il Tribunale ordinario di Roma.
“Gregorio De Falco rimane a bordo. Poiché gli atti sono nulli, voglio rimanere nel Movimento perché la mia azione politica è coerente con il contratto, con il programma e con le finalità fondanti del M5S” dice De Falco all’AdnKronos. “Se si fosse deciso a maggioranza di seguire una linea politica differente, per esempio sul dl sicurezza, avrei anche valutato di seguirla se non fosse stata in contrasto con i principi del M5S e con la Costituzione”. E ancora: “Il Movimento ha fatto un grave errore, dando prova del fatto che nel M5S non ci può essere dialettica, contraddicendo anche l’articolo 49 della Carta”.
In particolare, secondo i vertici grillini, De Falco non avrebbe rispettato l’articolo 3 del Codice etico, il quale tra l’altro obbliga il parlamentare “a votare la fiducia, ogni qualvolta ciò si renda necessario, ai governi presieduti da un presidente del Consiglio dei ministri espressione del MoVimento 5 Stelle”. Ma per Borrè si tratta di “una fiducia in bianco che contrasta apertamente con il dettato dell’articolo 67 e 68 della Costituzione. Il giudice – spiega l’avvocato all’AdnKronos – dovrà stabilire se un atto negoziale, imposto dal capo di un partito, possa prevalere sulle prerogative costituzionali”.
De Falco, rimarca Borrè, “si è sempre mosso in modo ortodosso rispetto ai principi del Codice etico, non si è mai sottratto al principio della concertazione democratica. E’ stato posto un voto di fiducia su questioni che vanno contro non solo il programma elettorale del M5S ma anche contro la coscienza del parlamentare. Espellere un parlamentare sul presupposto della violazione episodica di un vincolo, quello di mandato, vietato dalla Costituzione, esula da una visione democratica e improntata ai diritti costituzionali. Uno Statuto di un partito non può porsi contro i diritti costituzionali”.
“Se la Costituzione vieta il vincolo di mandato, e il vincolo viene inserito in uno Statuto, in un Codice etico – osserva ancora il legale ‘spina nel fianco’ del M5S – è comunque nullo perché contrario al dettato costituzionale. Non si può far entrare dalla finestra quello a cui la Costituzione sbarra la porta”.
Per De Falco quel provvedimento di espulsione è illegittimo anche per una serie di altri motivi. In primis, scrive Borrè nell’atto di citazione, la nomina di Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo e Jacopo Berti quali componenti del collegio dei probiviri è avvenuta “in violazione dello Statuto” del M5S: in particolare Berti “è stato nominato in sostituzione della signora Paola Carinelli a seguito di votazione in rete avvenuta il 6.9.2018” con scelta “limitata ad una rosa di tre candidati”, proposta dal garante Beppe Grillo “in violazione” dell’articolo 10 dello Statuto M5S, il quale, prosegue il legale, “prescrive che la scelta avvenga tra una rosa di almeno cinque candidati”.
Anche “laddove si ritenessero valide le (eventuali) nomine di Nunzia Catalfo e Riccardo Fraccaro”, il collegio dei probiviri “risulterebbe costituito da due soli membri, di cui uno (Riccardo Fraccaro) in aperto conflitto d’interessi in quanto ricoprente contestualmente la carica di ministro per i rapporti con il Parlamento (e quindi membro del Governo che non ha ricevuto in due occasioni il voto di fiducia del senatore De Falco, motivo quest’ultimo del provvedimento di espulsione qui impugnato)”, si legge ancora nell’atto.
Non è tutto. L’assenza dall’aula contestata all’ex capitano di fregata, scrive ancora Borrè, “non può in alcun modo configurare violazione del comma 6 dell’articolo 3 del Codice etico”. Perché? “L’irrilevanza disciplinare di tale condotta” è “confermata” dal fatto che “la stessa senatrice Catalfo risulta aver votato tre volte in difformità delle indicazioni del Gruppo ed essere stata assente a ben 200 votazioni su 2.209″ così come il senatore Ciampolillo ha votato 21 volte in difformità ed è stato assente a 143 votazioni”, viene sottolineato nel ricorso.
L’elenco di Borrè non si ferma qui: “La senatrice Piarulli ha votato 14 volte in difformità ed è stata assente a 15 votazioni; il senatore Lorefice ha votato 13 volte in difformità ed è stato assente a 9 votazioni; il senatore Mantero ha votato 13 volte in difformità ed è stato assente a 91 votazioni; il senatore Romano ha votato 11 volte in difformità; il senatore Castiello ha votato 10 volte in difformità ed è stato assente a 81 votazioni e il conto potrebbe continuare coinvolgendo quasi tutti i senatori, di cui nessuno è stato raggiunto da provvedimento disciplinare per tali motivi
Antonio Atte (Adnkronos)
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