di FEDERICO BETTA –
È noto che i testi del teatro contemporaneo inglese sono vivaci, zeppi di dialoghi serrati e atmosfere reali che si concretizzano sulla scena come se aprissimo la finestra su un cortile di condominio. Orphans, testo del pluripremiato e prolifico autore Dennis Kelly, non contravviene a questi caratteri. Come in altre storie, le dinamiche famigliari sono arroventate nelle differenze e i conflitti tra un fratello, una sorella (lo sfortunato Danny e la protettiva Helen) e il marito di quest’ultima (il preoccupatissimo Liam), crescono fino a esplodere. Ma in questo interno a tre personaggi c’è molto di più.
Il racconto dell’avventura del povero Danny, che piomba a casa della sorella e del cognato nel bel mezzo di una cenetta intima, è un condensato di accenni e ritrattazione: quanto più lo scomposto resoconto di un incidente, che l’ha sconvolto e coperto di sangue, consente allo spettatore di comprendere cosa gli sia accaduto, tanto più s’innesca una serie di rivolgimenti all’interno della coppia che l’ha accolto. Se all’inizio l’autore ci lascia intuire che il povero Danny sia solo uno sciagurato che chiede aiuto e supporto alla sua famiglia, nel finale siamo pronti rimettere in discussione tutto ciò cui abbiamo dall’inizio creduto. La costruzione a spirale, che come un imbuto ci trascina inesorabilmente al fondo della disperazione e della violenza, ci inchioda alla sedia parteggiando ora per l’uno ora per l’altro dei protagonisti. Fino a che il dramma famigliare si allarga a un’interrogazione più morale e più astratta, indicandoci dolcemente e pietosamente tutte le vie percorribili, tutte senza uscita, e arrivando a una conclusione ineluttabile che scardina ogni seppur flebile possibilità di pace.
L’esito finale, che sembra segretamente scritto in ogni battuta tanto precisamente sono state erose le possibilità linguistiche di ogni congiuntivo, esplode nella sua fatalità grazie anche al fatto di essere poggiato sulla commedia più imprevedibile: la scrittura, che procede per accumulazione e rivolgimento è impregnata di continui guizzi che riescono a strappare risate di pancia e antintellettuali, anche se sempre immersi nei toni cupi di un nero realista.
La regia di Tommaso Pitta è precisa e fredda come un’analisi scientifica. Un tavolo con sedie e un divano con tavolino sono poggiati su un piano rotante che permette al palco di ruotare tre volte per creare quattro situazioni per i quattro atti. Come una luna che sorge, una finestra sghemba segue la rotazione della scena fino all’ultimo atto, dove nell’unico impianto centrale della scenografia, diventa il segno chiaro di un fuori distorto e pericoloso. E proprio in questa distorsione della scena è forse ravvisabile il centro del lavoro: distorsione di sé, delle proprie possibilità, della propria realtà e di quella dell’altro, altro che, amico o nemico che sia, è sempre qualcuno di minaccioso e inquietante.
Nel trio di attori spicca per intensità e convinzione Lino Musella, sempre in parte, con un eloquio carico di una tensione tanto quanto il suo corpo è tirato e inquieto (con lui in scena Monica Nappo e Paolo Mazzarelli).
Orphans, spettacolo coprodotto da Marche Teatro e Teatro dell’Elfo, che ha debuttato nel 2016 e vinto il Premio Nazionale Franco Enriquez 2017 nella sezione Migliori Interpreti del Teatro Contemporaneo, è in scena al Piccolo Eliseo di Via Nazionale a Roma, fino al 29 marzo 2018.
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