IL TEATRO PERICOLOSO/ L’ultimo lavoro di Carmelo Rifici al Teatro Vascello di Roma

di FEDERICO BETTA – “Vincere o morire!” sentenzia una celebre battuta della Marchesa De Merteuil. E proprio il duello all’ultimo sangue è una perfetta sintesi della celebre opera di Choderlos de Laclos, Le relazioni persicolose, che Carmelo Rifici dirige per il teatro, e riscrive insieme a Livia Rossi che è presente anche nel cast dello spettacolo.

Il pubblico viene accolto con gli attori già in scena, in un’atmosfera algida e sospesa, che rievoca la preparazione a una battaglia: gli interpreti sono ai posti di combattimento, vestiti con abiti e maschere da scherma, nell’attesa di sferrare i propri colpi. “Finché non abbiamo battuto l’avversario dobbiamo temere di essere abbattuti”, ci avverte una frase del generale Clausewitz, ripresa da René Girard nel suo Portando Clausewitz all’estremo. La frase è proiettata sul fondale da una lavagna luminosa, strumento analogico (ce n’è altri sul palco, un registratore a bobina e un giradischi) che sarà usata per tutto lo spettacolo, permettendo una sorta di traduzione visiva che apre squarci e ferite alle spalle dei protagonisti.

Rifici ci offre l’eco e la carne degli scambi epistolari dell’opera di de Laclos usando diverse tipologie di microfoni e effettistica sonora. Permettendo al pubblico di assaporare l’intensità di un mezzo tanto permeato di scrittura da essere ormai lontano dalla nostra società, ne fa metafora delle risonanze tra i personaggi, modulando le voci come fossero le loro viscere.

La Marchesa De Merteuil e il Visconte di Valmont si sfidano a distanza. I due si servono del teatro per farci sciogliere in un addolcimento dell’anima o per rompere improvvisamente le emozioni, in un gioco di conquista nel quale muovono le proprie pedine tessendo trappole raffinate. Centrale nella riscrittura di Rifici è proprio il teatro stesso, strumento che sa ferire portandoci all’estremo; la riflessione è sui suoi obiettivi, sulla sua necessaria crudeltà che pretende di incarnare in scena tutta la forza della vita, sull’illusione di una nuova metafisica che si configura solo in un gioco di specchi che sempre inganna.

La riscrittura dell’opera, forse cadenzata da un ritmo talvolta ripetitivo, immerge e rifrange Le relazioni pericolose dentro altri testi che si innestano come nuove filiazioni: Nietzsche, Weil, Artaud, Cechov aprono nuove corrispondenze, connessioni illuminanti e approfondimenti inaspettati. Ma se l’operazione drammaturgica crea continue inattese sincronicità, la messa in scena che mescola declamazione, neon e divani vintage, movimenti meccanici, gocciolamenti e sospensioni sembra disperdersi in una serie di trovate, che rischiano di incantare il pubblico a un livello puramente astratto. Una nota di merito va certamente al convincente Edoardo Ribatto e alla notevole Monica Piseddu che guidano con profondità il senso di un’opera cardine riportata all’attualità.

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