Il teatro tra scienza e politica/ Copenaghen torna all’Argentina di Roma

 

di FEDERICO BETTA –

Nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, si sono incontrati a Copenaghen due tra i più importanti fisici teorici dell’epoca: Niels Borh e Werner Heisemberg.

Da questa semplice premessa prende le mosse l’acclamato e pluripremiato testo Copenaghen scritto nel 1998 da Michael Frayn: come mai i due Premi Nobel si sono incontrati in quelle circostanze? In un dialogo serrato, il drammaturgo inglese costruisce la narrazione come un vero e proprio thriller che svela indizi attraverso continui ribaltamenti e dà vita a una battaglia tra etica e scienza che mette in questione temi altissimi come libertà, ricerca, politica e amicizia.

Negli anni ’40 la Danimarca è occupata dai nazisti, i loro più brillanti colleghi ebrei sono tutti fuggiti negli stati uniti e le ambizioni espansionistiche tedesche sembrano inarrestabili. Il più anziano, Bohr, è calibrato, ironico, acuto osservatore di un’Europa sull’orlo del baratro, mentre Heisenberg sembra invece spinto da quella hybris tipica dello scienziato che sente le possibilità pratiche del calcolo teorico alla portata del suo sguardo. In ballo c’è la fissione nucleare, procedimento in fase di studio che quattro anni dopo portò alla costruzione della prima bomba atomica. Heisenberg è tedesco, i suoi interessi sembrano proprio portare in quella direzione e il vecchio Bohr chiude ogni spiraglio di possibile collaborazione schiacciato dalla pesante presenza tedesca che ne limita movimenti e speranze. Ma in un susseguirsi di scambi e riflessioni, il testo ricorda che le ambizioni del mostro nazista per il nucleare riguardavano la possibilità di creare energia a basso costo, mentre gli unici che sganciarono due potentissime bombe nucleari su civili inermi furono i democraticissimi americani.

Il tessuto di parole è teso e sfaccettato, e porta sul palco i rapporti tra allievo e maestro (Bohr e Heisenberg lo furono negli anni 20 quando la situazione politica era completamente differente), in un confronto serrato tra scienziati, ma prima di tutto tra esseri umani. La narrazione si sviluppa affrontando il contesto sociale e la storia della scienza con precisione e acume fino a svelare le trame dietro uno dei momenti più intensi della rivoluzione scientifica contemporanea. È possibile ripensare a quel momento storico con sguardo critico raggiungendo una verità condivisa? Seguendo le ricerche dei due scienziati, e immergendosi nel mistero del loro ultimo incontro, il drammaturgo Frayn mescola ironia e approfondimento riflettendo gli incredibili risultati accademici dei due grandi scienziati (il principio di indeterminazione di Heisenberg e il principio di complementarietà di Bohr) per disinnescare l’ansia da giudizio e la supponenza dell’intelletto oggettivo. Ne risulta una realtà che non può essere colta che in un intricato gioco di specchi tra punti di vista che difficilmente possono essere colti da un unico sguardo.

Seguendo chirurgicamente la minimale regia di Mauro Avogadro, tre grandissimi interpreti del teatro italiano (Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice) rivelano con umanità, istrionismo e generosa partecipazione i sentimenti nei confronti delle possibilità della tecnica e le contraddizioni etiche che in quel momento storico raggiungono tensioni mai toccate prima.

Lo spettacolo, prodotto da Compagnia Umberto Orsini con il Teatro di Roma, in coproduzione con CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, è in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 16 dicembre.

Commenta per primo

Lascia un commento