Il Tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per la vicenda della nave Diciotti. La decisione del Tribunale dei ministri arriva dopo la richiesta motivata di archiviazione avanzata dalla Procura di Catania. Il ministro viene accusato di “aver abusato dei suoi poteri”.
Salvini ha reagito rilasciando questo commento in un video: «Ci riprovano, torno ad essere indagato per sequestro di persona e di minori, con una pena prevista da 3 a 15 anni. Manco fossi uno spacciatore o uno stupratore. Ora la parola passa al Senato e ai senatori, che dovranno dire sì o no, libero o innocente, a processo o no. Ma lo dico fin da ora, io non cambio di un centimetro la mia posizione». «Riunione il 7 dicembre e comunicazione il 24 gennaio»: così il ministro Salvini informa in diretta su Fb dei tempi tra la richiesta al Tribunale dei ministri e la notifica dell’atto. Poi ha rivolto un applauso ai giudici a favore di telecamera. «Rapidi. In un’azienda qualunque qualcuno dovrebbe dare delle risposte. I giudici facciano i giudici, i ministri fanno i ministri ed esercitano i loro poteri».
In una nota l’Associazione nazionale magistrati si afferma che «le dichiarazioni odierne del ministro dell’Interno, a commento della decisione del Tribunale dei ministri di Catania, risultano irrispettose verso i colleghi nei toni di derisione utilizzati e nei contenuti, anche laddove fanno un parallelismo tra i tempi di redazione di un provvedimento giurisdizionale, come noto previsti dalla legge, e il funzionamento di un’azienda privata. Il rischio di una delegittimazione della magistratura, il cui operato viene fatto nel rispetto delle leggi dello Stato, è alto e va assolutamente evitato».
LA DECISIONE DEL TRIBUNALE – “L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”. Lo scrive il tribunale dei ministri di Catania nella sua richiesta per l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini per la vicenda della nave Diciotti. “Le Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito – sottolineano i giudici – costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica”.
Capo immigrazione: Salvini bloccò la catena di comando – “Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos (il porto sicuro, ndr.) e quindi tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del signor ministro dell’Interno”. E’ quanto ha riferito ai magistrati di Agrigento (i primi ad aprire il fascicolo sulla vicenda) il capo del Dipartimento delle libertà civili e immigrazione del Viminale, il prefetto Gerarda Pantalone, in merito alla mancata assegnazione del Pos alla Diciotti lo scorso agosto. Nelle 53 pagine di provvedimento i giudici affermano che il centro di coordinamento dei soccorsi di Roma (Imrcc) ha avanzato al Dipartimento 3 diverse richieste di Pos, il 15, il 17 e il 24 agosto. E ci sono state “rettifiche sospette” da parte dei prefetti del Viminale ascoltati dai magistrati. Per accertare la “rilevanza penale” delle tre richieste, aggiungono, va preliminarmente stabilito quale di queste debba essere considerata “tipica”, vale a dire “idonea a fondare in capo al Dipartimento l’obbligo normativo di provvedere tempestivamente”. Secondo i giudici la prima, quella del 15, deve essere ritenuta “atipica”, dunque priva dei presupposti normativi. Diverso il discorso su quella del 17 che gli stessi protagonisti hanno definito ‘formale’. La definisce così, ad esempio, la stessa Pantalone quando fa riferimento “all’ordine ricevuto dal prefetto Piantedosi, capo di gabinetto del ministro dell’Interno e costantemente in contatto” con Salvini. “Il 17 agosto, intorno alle 22.30, Mrcc ha avanzato una formale richiesta di Pos…è stata girata al prefetto Piantedosi, il quale ribadì che non poteva indicare un Pos e che occorreva attendere”. Parole confermate dal vicario del Dipartimento, il prefetto Bruno Corda, che in quei giorni era in servizio. “Il 17 agosto è pervenuta al mio ufficio una vera richiesta di Pos”. Corda informa anche lui Piantedosi e anche a lui il capo di Gabinetto dice “di attendere disposizioni…”. Entrambi i prefetti però, dicono i giudici, sentiti nuovamente dal Tribunale dei ministri di Palermo il 25 settembre “rettificano le precedenti dichiarazioni, qualificando la richiesta di Pos del 17 agosto come ‘anomala’”. Una circostanza “alquanto peculiare”. E aggiungono: “al di là della ‘sospetta’ rettifica delle precedenti dichiarazioni da parte dei prefetti Pantalone e Corda, è convincimento di questo tribunale…che la richiesta del Pos del 17 agosto presentasse tutti i requisiti che giustificassero una pronta risposta da parte del competente Dipartimento del ministero dell’Interno”. Dunque, concludono i giudici, “l’omessa indicazione del Pos” dopo la richiesta delle 22.30 del 17 agosto “da parte del dipartimento per le libertà civili e immigrazione, dietro precise direttive del ministro dell’Interno, ha determinato…una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del Ps rilasciata nella tarda serata del 25) con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato ipotizzato”.
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