Cavi tranciati di netto, in maniera diversa rispetto agli altri reperti, tiranti corrosi e fortemente deteriorati. La prova ‘regina’ su quanto accaduto al ponte Morandi, crollato lo scorso 14 agosto stroncando la vita di 43 persone, potrebbe essere il reperto numero 132. Il detrito è stato catalogato in questi giorni dai periti e consulenti, ed è ritenuto “fondamentale” dallo stesso procuratore capo di Genova Francesco Cozzi, tanto che verrà inviato in Svizzera per una consulenza più approfondita. Una “prova fisica” che potrebbe chiudere il cerchio su quelle che ormai per gli investigatori del primo gruppo della Guardia di finanza, agli ordini del colonnello Ivan Bixio, sono quasi certezze. I vertici e i tecnici di Autostrade e di Spea (la società incaricata delle manutenzioni) erano consapevoli da anni – questa è la tesi – dello stato di ammaloramento delle pile 9 (quella crollata) e 10, ma nessuno fece nulla. Nessuna manutenzione straordinaria e neanche quella ordinaria. Una inerzia che sarebbe confermata dalla documentazione sequestrata in questi due mesi, dalle mail e dalle chat scambiate tra Aspi e la stessa Spea, ma anche dagli interrogatori delle persone informate dei fatti. Insomma: una generale consapevolezza dello stato avanzato di deterioramento cui però non ha corrisposto alcun tipo di intervento. Un quadro del genere, si apprende in procura, potrebbe portare nei prossimi giorni anche a contestare la cosiddetta “colpa cosciente”.
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