di RAFFAELE CICCARELLI*/ Italia fuori dal mondiale. Di nuovo. Le dita quasi fanno fatica a mettere in fila parole che la nostra passione di sportivi e di tifosi dei colori azzurri speravano di non dover più scrivere. Però è la realtà dei fatti, incontestabile, una realtà che la sconfitta con la Macedonia del Nord ha solo sancito, ma che parte da più lontano, da settembre dell’anno scorso, quando si riprese la corsa per le qualificazioni, dopo il campionato europeo. Proprio quello segna uno spartiacque profondo, perché in quella competizione, solo otto mesi fa siamo riusciti a primeggiare, compiendo due miracoli, quello di vincere il titolo dopo cinquantatré anni, e di farlo dopo la cocente mancata qualificazione ai mondiali di Russia 2018.
Quest’ultima era stata il punto più basso raggiunto da una nazionale con molti uomini a fine ciclo e al culmine di una gestione almeno discutibile. Roberto Mancini fu chiamato a risollevare le sorti della nostra squadra, e sembrava più che l’uomo della Provvidenza, riuscendo a ricostruire e addirittura a vincere. Il calcio però è questo, il passaggio dalla gioia alla disperazione in un alito, un ciclo continuo che ti presenta sempre il conto, in positivo o in negativo. Andare a caldo a fare un’analisi è esercizio complicato perché sicuramente influenzato dal sentimento, però è d’obbligo per capire le cause.
Le possibili cause del disastro. Facile individuare nei due calci di rigore sbagliati da Jorginho contro la Svizzera la causa principale, riduttivo pensare che solo quegli undici metri ci siano stati fatali. Paradossalmente, credo ci abbia fatto male vincere quell’Europeo, perché ha creato quel senso di appagamento, magari inconscio, di certo non voluto, ma inevitabile quando si raggiunge un grande risultato. Molti la chiamano “sindrome di Bearzot”, legandola al nome del CT che, conquistato l’incredibile mondiale del 1982, per riconoscenza verso quei giocatori non produsse il dovuto ricambio, andando incontro al fallimento di Messico 1986.
La lezione di Pozzo e la mancanza di goleaor azzurri. Del resto la storia insegna, come sempre, un unico CT è stato capace di vincere due mondiali di seguito, Vittorio Pozzo, che tra l’edizione del 1934 e quella del 1938 cambiò tutta la rosa, senza dare seguito ai sentimenti, che pur aveva, di riconoscenza verso chi lo aveva portato alla prima vittoria. Questa può essere una prima causa, anche se qui parliamo di una squadra vincente giovane, in costruzione, ma subentra l’altro grande problema, quello probabilmente vero: la mancanza di un realizzatore. Noi ci vogliamo meravigliare dell’eliminazione, anche giustamente, ma il grande problema di Mancini è proprio quello di trovare quel giocatore risolutivo quando gli avversari annullano il tuo gioco (nella foto a destra e in home page: la disperazione di Berardi).
E adesso? L’Italia non ce l’ha, con l’entusiasmo si è sopperito nella prima parte dell’Europeo, ma quando poi i muscoli si sono appesantiti, la brillantezza è mancata, non c’è stato chi riuscisse a risolvere. Quali conseguenze avrà ora questa eliminazione? Non credo l’”apocalisse” che ci fu dopo la Svezia, perché questa squadra ha comunque dimostrato di poter vincere, ma deve essere completata proprio nel reparto offensivo, sperare di trovare un risolutore che ora non abbiamo.
Meditate gente, meditate. Soprattutto deve far ripensare tutto il nostro sistema calcio, perché diventa quasi ridicolo non raggiungere l’obiettivo, strapparsi i capelli dalla disperazione, chiedere repulisti che sanno solo di personale rivalsa, e poi lasciare il sistema così com’è, che non funziona con la nazionale, non funziona nemmeno con i club a livello internazionale. Le dita ora si fermano, rifiutano di andare avanti, però negli occhi resta il tiro incrociato di Aleksandar Trajkovski e il tuffo vano di Gigio Donnarumma, un’istantanea dolorosa che ricorda terribilmente il vano tuffo di Ricky Albertosi sul tiro di Pak Doo Ik nel 1966 (foto a sinistra). A quei mondiali, però, almeno c’eravamo…
*Storico dello sport
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