di NUCCIO FAVA – La tragica vicenda dei nostri quattro connazionali in Libia – dal momento del rapimento alla prigionia disumana di otto mesi , dalla carneficina a cui sono stati sottoposti i due assassinati alla funambolesca fuga che ha permesso la liberazione dei due sopravvissuti, sino alle esasperanti procedure ed il rinvio ripetuto prima del rientro a Ciampino delle vittime sottoposte come ultimo oltraggio ad una autopsia di regime per tentare di coprire e nascondere il più possibile la ferocia dell’esecuzione – racchiudono il racconto commosso dei superstiti e quello non meno straziante dei familiari degli assassinati. L’Italia intera ne è rimasta profondamente scossa e lo stesso ministro degli esteri nel riferire in Parlamento non ha nascosto la sua commozione e il suo sdegno. Sin da bambino ho ascoltato il racconto della morte di mio nonno, ufficiale in Libia nel 1929 al comando di unità speciali contro i ribelli libici nella regione del Fezzan. Presso i pozzi petroliferi della regione era stato respinto un primo attacco. Ma durante un secondo, improvviso e notturno, il nonno rimase colpito a morte da una fucilata alla gola. Oltre al terribile dolore per la nonna c’era anche il compito di preparare e comunicare alla figlia la morte cruenta del padre e organizzare il rientro in Italia. Si trattava di un episodio in battaglia e i ribelli a cavallo reagivano alle efferatezze del generale Graziani spietato contro le popolazioni e le tribù libiche. Conservo la pergamena e la medaglia d’argento assegnata al nonno col riconoscimento dell’onore e del valore dimostrato, con la firma di Benito Mussolini, ministro della guerra.
Mi torna in mente quel lontano doloroso lutto familiare che mia madre raccontava spesso anche ai miei figli che come me erano incuriositi alla vista delle foto di mio nonno in divisa con lo sfondo del deserto. Ma non di ricordi si tratta nella barbarie della Libia di oggi, divisa e frantumata nello scontro quotidiano di tribù contrapposte, con una presenza sempre più inquietante dello stato islamico che ha conquistato una parte importante della costa e cerca di costruire alleanze e di controllare il più possibile la redditizia risorsa del petrolio illegale.
Di questo quadro complesso e irto di difficoltà ha tenuto conto il ministro Gentiloni per ricavarne una linea di cautela e prudenza . E’ evidente che nessuno pensa ad avventure militari, senza però ignorare che non ci si può affidare ad attendismi illimitati, mentre sono tra l’altro presenti in Libia oltre agli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia. Come Italia siamo contemporaneamente i più esposti ai rischi, collegati anche all’immigrazione senza regole che attraversa il Mediterraneo e anche agli interessi vitali che abbiamo storicamente in quell’area. Non è sicuramente un compito facile ma non si può neppure sperare all’infinito nella chiamata di un governo unitario libico che non si riesce a costituire. Ad un certo punto sarà d’obbligo rafforzare e favorire la coalizione già potenzialmente esistente e che vede l’Italia addirittura candidata alla sua guida su indicazione del presidente Obama e degli altri paesi alleati. Abbiamo fatto sfoggio in ogni sede di questa investitura ritenuta un segno d’onore e di importante riconoscimento per il ruolo dell’Italia, bisogna adesso essere conseguenti e mettere in campo tutte le strategie e le proposte adeguate al ruolo da assolvere.
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