La Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’appello di Milano a 16 anni per Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto a Garlasco il 13 agosto del 2007. Il procuratore generale Oscar Cedrangolo, invece, aveva chiesto l’annullamento con rinvio sia in accoglimento del ricorso dell’imputato, che chiedeva l’assoluzione, sia del ricorso del pg di Milano, che chiedeva al contrario il riconoscimento dell’aggravante di crudeltà. Stasi era stato assolto in primo e in secondo grado, e poi condannato con rito abbreviato a 16 anni di carcere nell’appello ‘bis’ per l’omicidio della sua fidanzata nel piccolo centro della Lomellina. Stasi si è presentato poco dopo in carcere, accompagnato dai familiari.
Ieri nell’udienza in Cassazione queste le due tesi contrastanti degli avvocati della parte civile, cioè la famiglia Poggi, e della pubblica accusa, rappresentata dal pg Cedrangolo.
La difesa della famiglia Poggi – “Non siamo qua a rappresentare nessun grido di dolore ma la convinzione granitica che la verità sia emersa”. Lo ha detto nella sua arringa l’avvocato Francesco Compagna, che assieme a Gian Luigi Tizzoni rappresenta la famiglia di Chiara Poggi. Il difensore dei Poggi ha fatto espressamente riferimento ad un passaggio della requisitoria del Pg Cedrangolo che aveva appunto sottolineato come il rinvio per un appello bis da parte della Cassazione dopo due sentenze di assoluzione avesse anche tenuto conto del ‘grido di dolore’ dei familiari. “E’ vero – ha aggiunto l’avvocato Compagna – come dice il procuratore che scontiamo il peso di un processo mediatico. L’errore in cui si rischia di incorrere è farci un’idea esaminando gli atti in maniera pregiudiziale”. Le arringhe difensive dei rappresentanti di parte civile si sono protratte per oltre tre ore tanto che il presidente del Collegio della Quinta sezione penale della Cassazione, Maurizio Fumo, ha più volte richiamato alla sintesi sottolineando la necessità di “ritirarci in camera di consiglio con una capacità mentale congrua”.
Le richieste del Pg – Il procuratore generale Cedrangolo ha sottolineato “la debolezza dell’impianto accusatorio”, che ha portato alla condanna a 16 anni di Alberto Stasi per l’omicidio della sua fidanzata Chiara Poggi. Nell’articolata requisitoria ha scandagliato punto per punto gli indizi che hanno portato la corte d’appello di Milano lo scorso anno, dopo il rinvio della Cassazione, ad emettere la condanna. “In questa sede non si giudicano gli imputati ma le sentenze. Io non sono in grado di stabilire se Alberto Stasi è colpevole o innocente. E nemmeno voi”, ha detto rivolgendosi al collegio, “ma insieme possiamo stabilire se la sentenza è fatta bene o fatta male. A me pare che la sentenza sia da annullare”. Il pg ha sottolineato che a suo avviso “potrebbero esserci i presupposti di un annullamento senza rinvio, che faccia rivivere la sentenza di primo grado” e quindi l’assoluzione di Alberto. Ma il procuratore ha sottolineato come la prima sentenza della Cassazione dell’aprile 2013 abbia voluto “ascoltare il grido di dolore” dei genitori di Chiara Poggi nel chiedere di trovare l’assassino della figlia: “Ho apprezzato lo scrupolo della Cassazione, quando dopo le due assoluzioni ha chiesto un nuovo giudizio. E vi chiedo di concedergli lo stesso scrupolo”. Il pg ha quindi suggerito che si dispongano “nuove acquisizioni o differenti apprezzamenti” ma ha poi precisato che “l’annullamento deve essere disposto sia in accoglimento del ricorso del pg, sia di quello dell’imputato. Perché se Alberto è innocente deve essere assolto, ma se è colpevole deve avere la pena che merita”.
La sentenza di rinvio – ha sostenuto Cedrangolo – dà atto che il movente non è stato individuato ma poi si industria a costruirne uno legato alla vicenda delle immagini pornografiche”, con il timore che Chiara potesse distruggere “l’immagine di ragazzo perbene e studente modello di Alberto” ma “la logica ci viene in soccorso e impone di escludere l’insostenibile ipotesi secondo la quale per evitare che la sua fidanzata rendesse nota la passione per la pornografia decidesse di ucciderla costituendosi come alibi proprio quel pc pieno di immagini pornografiche consegnato la mattina dopo ai carabinieri”.
Il pg ha sottolineato come emerge dagli atti una “debolezza dell’impianto accusatorio perché se gli indizi sono forti è inutile cercare a tutti i costi un movente che non si riesce a trovare”. La sentenza d’appello condanna Stasi senza riconoscergli l’aggravante della crudeltà e ad avviso del pg, “alla fine di una sentenza del genere non si spiega l’indulgenza della Corte nell’escludere l’aggravante se si dice che Chiara è stata “brutalmente uccisa: è il solito inaccettabile sistema di un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma così non si fa giustizia, ma si aggiunge dolore a dolore”.
Pg: perniciosa spettacolarizzazione nei “processi televisivi ” – Il pg ha sottolineato un altro aspetto significativo di tutta la vicenda: l’omicidio di Garlasco, così come altri, è stato oggetto di “una perniciosa forma di spettacolarizzazione” attraverso “quei processi televisivi che inquinano la capacità di giudizio degli spettatori, tra i quali, forse nessuno ci pensa, rientrano anche i giudici, togati e popolari, di queste vicende”. “Al di là delle motivazioni tecniche, la Corte di Cassazione nell’annullamento disposto nell’aprile 2013 non se l’è sentita di dire la parola fine su una vicenda così articolata, anche a costo di fare una cosa inedita, e cioè trasformare un processo con rito abbreviato in un processo con rito allungato. Ma di questo ampio mandato il giudice del rinvio, ritengo, non ha fatto buon governo”. “E’ successo che il giudice del rinvio abbia ritenuto che gli fosse stato affidato un imputato che dalla posizione di accertato innocente fosse passato alla posizione di presunto colpevole e ha ritenuto che il suo compito fosse quello di ricercare gli indizi a carico. Un modo di procedere non corretto, anzi in alcuni casi inaccettabile”. Cedrangolo ha sottolineato come sia necessario fare chiarezza tra le due perizie contrapposte rispetto allo scivolamento del corpo di Chiara sulle scale. Quanto alle impronte delle scarpe trovate sul luogo del delitto, il Pg ha sottolineato che “ci sono voluti sette anni per individuare taglia e marca delle scarpe, Frau numero 42”, e ha anche evidenziato che “se le scarpe dell’aggressore erano copiosamente imbrattate di sangue, perché le impronte sono state ritrovate sul tappetino del bagno, come mai non sono state evidenziate le impronte di uscita fino alla porta d’ingresso. Mistero”. A suo avviso “questa è un’altra incongruenza che merita accertamento”. Quanto alle impronte sul dispenser di sapone liquido in bagno, il Pg ha detto “che l’imputato frequentava la casa: ci mangiava, ci dormiva, ci faceva l’amore e da un punto di vista razionale non aveva alcun interesse a cancellare le sue impronte”. Cedrangolo ha ancora sottolineato che “sono 24 le persone che si sono recate in quell’appartamento prima che vi accedessero i Ris per i rilievi”, che “non si sono dimostrati affidabili per l’impossibilità di verificare l’essiccamento del sangue e per il massiccio inquinamento del luogo”.
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