di GIOVANNI D’AGATA* – Di nuovo la Cassazione decreta l’obbligo per un genitore di mantenere i figli anche se ormai adulti. Lo sa bene un’anziana donna che ha visto confermata dalla suprema corte la propria condanna a versare in favore del figlio ultracinquantenne 300 euro al mese a titolo di assegno alimentare. Gli ermellini, con la sentenza numero 9415/2017, hanno posto fine a una controversia giudiziaria durata oltre venti anni, all’esito della quale ad avere la meglio è stato il figlio, maturo ma disoccupato, nonostante abbia quasi completato il percorso di studi per ottenere la laurea in giurisprudenza e si sia diplomato in violino al conservatorio.
Le motivazioni alla base del riconoscimento del diritto dell’uomo ad ottenere gli alimenti dall’anziana madre si leggono chiaramente nella sentenza di appello, nella quale il giudice del merito ha ritenuto raggiunta la prova della sussistenza del presupposto della prestazione alimentare considerando la sua situazione di bisogno e le infruttuose disponibilità a tenere lezioni di violino e svolgere attività di attacchinaggio, iscrizione all’ufficio di collocamento, richiesta di essere richiamato a svolgere il servizio militare, partecipazione a un concorso pubblico bandito dal Ministero della Giustizia. In corso di causa, inoltre, è emerso che la condizione soggettiva dell’uomo è gravemente compromessa dall’essere egli affetto da seri problemi psicologici e relazionali.
Alla luce di queste e altre circostanze, pacifiche e comprovate, e ritenuti infondati tutti e quattro i motivi proposti dalla mamma in Cassazione per la riforma della sua condanna, la donna deve ora rassegnarsi a pagare e a continuare, quindi, a mantenere il figlio nonostante la sua età avanzata. Gli addetti ai lavori spiegano che è una sentenza della Cassazione del 2007 ad aver fatto scuola: «l’obbligo dei genitori di concorrere tra loro, secondo le regole dell’art.148 c.c., al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura immutato finché il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica (o sia stato avviato ad attività lavorativa con concreta prospettiva di indipendenza economica), ovvero finché non sia provato che il figlio stesso, posto nelle concrete condizioni per poter addivenire all’autosufficienza, non ne abbia, poi, tratto profitto per sua colpa…» (Cassazione civile , sez. I, 11 gennaio 2007 , n. 407).
Questa abitudine molto italiana vizia il mercato del lavoro con enormi danni per la collettività: perchè quei giovani che si sentiranno sempre le spalle coperte potranno continuare ad accettare stage gratuiti o con rimborsi spese non dignitosi, o collaborazioni sottopagate, tranquilli e certi che tanto la “differenza” ce la metteranno mamma e papà.
Il grande assente, in questo frangente, è lo Stato. Un welfare state degno di questo nome, con aiuti alle giovani coppie, affitti a prezzo agevolato, ammortizzatori sociali per non essere costretti a correre da mamma e papà tra un contratto a progetto e l’altro, sarebbero un sostegno ben più sano, per i giovani, di quello delle famiglie d’origine.
*Giovanni D’Agata è presidente di “Sportello dei diritti”
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