Italiani brava gente. Anche quelli che siedono in Corte di Cassazione. Infatti il super boss mafioso Salvatore Riina (nella foto durante l’intervista fatta da Bruno Vespa a suo figlio) potrebbe ottenere dalla Suprema Corte gli arresti domiciliari. Il motivo? Assicurargli il “diritto di morire dignitosamente”, nonostante abbia fatto morire con crudeltà persone in nome del “diritto” di vita e di morte gestito dalla malavita. Questo il senso di ciò che la Cassazione ha affermato dopo aver esaminato il ricorso dell’avvocato di Riina, che chiede per il suo assistito il differimento della pena o, in subordine, la detenzione domiciliare.
La richiesta – si legge nella sentenza numero 27.766, relativa all’udienza del 22 marzo scorso – era stata respinta lo scorso anno dal tribunale di sorveglianza di Bologna, che però, secondo la Cassazione, nel motivare il diniego aveva omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico”. Il tribunale bolognese non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Insomma: nonostante fosse malato, il boss poteva rimanere in carcere. Un giudizio contestato, a quanto pare, dai super togati, che sottolineano come il giudice debba verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.
Ma non solo. Perché i giudici scrivono anche che – ferma restando “l’altissima pericolosità e l’indiscusso spessore criminale” del boss corleonese – il tribunale di Bologna non ha chiarito “come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico“.
Ora spetta a tribunale di sorveglianza di Bologna , sulla base di queste indicazioni, decidere sulla richiesta del difensore del boss, Luca Cianferoni, finora sempre respinta. L’obiettivo dell’avvocato è ottenere gli arresti domiciliari per il capo assoluto di Cosa nostra. L’udienza è fissata per il 7 luglio prossimo.
La Cassazione si era comportata diversamente nei confronti di Bernardo Provenzano bocciando per quattro volte le istanze di differimento della pena presentate dall’avvocato Rosalba Di Gregorio. Il boss è poi morto nel luglio del 2016 agli arresti ospedalieri ma in regime di 41 bis.
Va ricordato che nel dicembre del 2013 furono registrate conversazioni tra il capo dei capi di Costa nostra e un altro detenuto, Alberto Lorusso, al quale elencò una serie di delitti del passato e avanzava persino minacce per il futuro, come quelle contro il pm Nino Di Matteo: “Lo faccio finire peggio del giudice Falcone”.
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