di SERGIO SIMEONE* – Chi scrive il 22 ottobre 1972 era a Reggio Calabria, nell’interminabile corteo che attraversava la città e alla cui testa c’erano i più prestigiosi sindacalisti del tempo, Luciano Lama, Pierre Carniti, Bruno Trentin e Giorgio Benvenuto. Gli otto attentati ai treni avvenuti nella notte precedente la manifestazione non avevano potuto impedire che migliaia di lavoratori, mobilitati dalla Fml (sindacato unitario dei metalmeccanici), dalla Fillea (Sindacato degli edili) e dalla Federbraccianti, attraversassero tutta la penisola per portare il loro sostegno alle forze politiche democratiche calabresi che stavano lottando per difendere la democrazia dall’assalto dei neofascisti che si erano messi alla testa dei moti per “Reggio capoluogo”.
E’ a partire da quel giorno che cominciò la riscossa della democrazia a Reggio Calabria.
Chi scrive, tre anni dopo si trovava ad Avellino al Corso Vittorio Emanuele per ascoltare, anche lì, Luciano Lama. Si era dovuto ricorrere alla lunga e larga strada che attraversa il centro cittadino (circa 800 metri) per accogliere l’enorme folla accorsa da tutta la Campania, e che nessuna piazza avrebbe potuto contenere, a sostegno della “vertenza Fiat”. Vertenza con la quale i sindacati confederali chiedevano che il colosso automobilistico torinese insediasse un suo stabilimento in Irpinia. Ma sul palco, insieme con il carismatico leader della Cgil non c’erano solo altri dirigenti sindacali della Cisl e della Uil.
Al fianco di Lama, fatto insolito, c’era anche un importante politico democristiano, il presidente della regione Campania, Nicola Mancino (che sarebbe poi diventato ministro dell’Interno e successivamente presidente del Senato), e stava lì certamente anche a nome di Ciriaco De Mita, ministro del Mezzogiorno (che sarebbe poi diventato segretario nazionale della DC e presidente del Consiglio). Ciò significa che i due pur potenti esponenti della Democrazia Cristiana (che domineranno la scena politica nazionale nei successivi 10 anni) avevano capito che per vincere la battaglia per lo sviluppo del Mezzogiorno era determinante la discesa in campo del sindacato. Due anni dopo, infatti, la vertenza Fiat si sarebbe conclusa con l’accordo del 7/7/77 e la successiva costruzione dello stabilimento.
Questi miei ricordi, che vedono il sindacato protagonista imprescindibile di qualsiasi lotta per lo sviluppo del Mezzogiorno, mi sono venuti naturalmente alla memoria mentre leggevo le aspre polemiche insorte intorno al Recovery plan riguardo all’impiego delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea ed alla dislocazione territoriale dei progetti.
Il sindacato non può non sapere che l’Italia ha ottenuto la fetta più grande dei fondi stanziati dalla UE perché al suo interno ha una enorme voragine da colmare, quella che separa il centro-nord ed il sud, in termini di reddito (un cittadino meridionale ha un reddito pari a poco più della metà di un cittadino del centro-nord!), occupazione, servizi sanitari e scolastici, infrastrutture materiali ed immateriali.
Ma Maurizio Landini, che pure in più occasioni si è espresso indicando il Mezzogiorno come uno degli obiettivi prioritari dell’impiego dei fondi europei, lo fa con eccessiva timidezza senza assumere una iniziativa forte che ponga la questione all’attenzione dei media, come avrebbe fatto Lama, lasciando così che la scena mediatica sia monopolizzata da un insetto fastidioso che con il suo 2,5% lancia con arroganza i suoi ultimatum al presidente del Consiglio come se avesse dietro un partito con milioni di iscritti.
Che cosa frena Landini? Forse il mutato orientamento politico della base della Cgil, piena di lavoratori, che, soprattutto al nord, sentono il fascino degli slogan leghisti e vedono nel sindacato solo l’organizzazione che li difende efficacemente sui luoghi di lavoro e sarebbero perciò poco disponibili a spendersi per una battaglia in favore del Mezzogiorno?
Io spero tanto di sbagliarmi e che la Cgil sia ancora quella dei miei tempi, orgogliosa di aver avuto come primo segretario un bracciante pugliese. Spero e mi aspetto che i fatti smentiscano i miei sospetti.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato dirigente della Cgil Scuola
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