La Corte costituzionale ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso “dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”. La Corte ha ritenuto che – diversamente dalle disposizioni del “Salva Italia” del governo Monti annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”.
La Corte Costituzionale disinnesca così la ‘mina’ perequazione: il bonus Poletti con cui il governo nel 2015 rivalutò parzialmente le pensioni superiori a 3 volte il minimo per rispondere alle indicazioni della stessa Consulta, che aveva bocciato lo stop all’adeguamento al costo della vita voluto dal Governo Monti per il 2012 e 2013, infatti, è legittimo.
Il provvedimento coinvolse circa 6 milioni di pensionati. Delusi sindacati, consumatori e associazioni; tira un respiro di sollievo invece il governo sul cui capo pendeva una possibile nuova posta finanziaria da 16-20 miliardi. Nessuna integrazione dunque sia per quei rimborsi parziali varati dal dl del governo Renzi per il 2012 e il 2013, sia per il cosidetto mancato trascinamento sul 2014-2018. Resta dunque in vigore fino al 31 dicembre 2018 la scalettatura prevista dal meccanismo di perequazione messo a punto dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che prevede un adeguamento al 100% per gli assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4 volte; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo. Dal 2019, invece, e su questo il governo avrebbe dato esplicite garanzie ai sindacati, che lo ritengono più equo, tornerà in vigore il meccanismo di recupero dell’inflazione previsto da una legge del governo Prodi, nel 2000.
Le pensioni in questo modo saranno adeguate al 100% degli indici Istat per importi fino a 3 volte il minimo, del 90% tra 3 e 5 volte il minimo Inps ed del 75% per gli importi oltre le 5 volte, ma la perequazione avverrà sulla parte eccedente, in stile 730, consentendo così a tutti gli assegni di poter beneficiare di uno ‘zoccolo’ di rivalutazione del 100% fino ai primi 1500 euro.
Delusi i sindacati: “I conti pubblici valgono più della nostra dignità”, dicono ad una sola voce. “Prendiamo atto della sentenza della Consulta sul decreto Poletti. Resta però irrisolto il problema del reddito dei pensionati, che in questi ultimi anni ha perso sensibilmente di valore e non è stato degnamente rivalutato”, riflette con l’amaro in bocca il segretario generale dello Spi-Cgil Ivan Pedretti che mette in guardia il governo dal non mantenere la promessa per un nuovo meccanismo dal 1 gennaio 2019. Motivazioni “non congrue né comprensibili” anche per la Uilp, come annota il segretario generale della Uilp Romano Bellissima. “Oggi è un giorno triste per la giustizia. La consulta ha fatto prevalere, a nostro avviso, le ragioni di Stato dichiarando legittimo il decreto Poletti n.65”, dice in sintonia con la ‘perplessità’ dell’unione nazionale consumatori e le proteste della Cida, la Confederazione dei dirigenti e alte professionalità pubbliche e private, che invoca la fine “della sconcia pratica di usare i pensionati come dei ‘bancomat’ cui ricorrere quando si aprono falle nei conti pubblici”. Anche la politica commenta la sentenza. E’ il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, a cavalcare la protesta: “nel silenzio delle tivù, la Corte Costituzionale salva il governo e condanna 6 milioni di pensionati italiani, a cui vengono sottratti 30 miliardi di euro di mancate rivalutazioni, grazie alla ‘signora’ Fornero. Vergogna! Grazie Pd… Cambiare la legge Fornero, e anche la modalità di scelta di giudici della Corte Costituzionale. Volere è potere, lo faremo”, scrive su Facebook.
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