I giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia hanno impiegato quasi 400 pagine di motivazioni a sostengo della condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti – su cui dovrà pronunciarsi la Cassazione – per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Tutto il ragionamento parte e si impernia sulla famosa prova del Dna, cioè la traccia reperita diversi mesi dopo l’assassinio su ciò che restava del corpo e degli indumenti della povera Yara, da cui gli investigatori partirono a ritroso per arrivare al muratore di Brembate e costruire successivamente i “riscontri”, elevati al rango di prove, che potessero suffragare l’accusa e le finalità dell’aggressione a Yara Gambirasio “dai contorni sessuali”. I giudici, non avendo trovato retroattivamente alcuna prova concreta né precedenti analoghi nella vita di Bossetti, si sono appellati alle analisi del computer dell’imputato dalle quali ritengono che “si deduce” un “insistente e perdurante interesse” per “adolescenti in età puberale”.
Su queste basi, un ergastolo, suggerisce la logica, non si può irrogare a cuor leggero, senza alcun ombra di dubbio. Ma per giustificarlo i giudici tengono a precisare che la prova del Dna, contestata dalla difesa di Bossetti, è valida perché “non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive”. “Si deve ribadire quindi ancora una volta e con chiarezza che un’eventuale perizia, chiesta a gran voce dalla difesa e dall’imputato, consentirebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris”, scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia confermando il carcere a vita per il muratore di Mapello.
E comunque i giudici aggiungono che “non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni” del Dna trovato sul corpo della tredicenne. Ed è per questo che una perizia sarebbe stata solo un controllo del lavoro dei consulenti dell’accusa e della parte civile.
Ora occorre vedere se le argomentazioni dei difensori e dei periti contrapposte alle sentenze di primo e di secondo grado convinceranno i giudici della suprema corte a disporre una revisione del processo.
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