LA MORTE DI BRUNO PIZZUL/ Se ne va a 86 anni una voce storica del nostro calcio: raccontò la tragedia dell’Heysel e le “Notti Magiche” di Italia 90. Rispetto al grande Nando Martellini, non ha mai avuto la gioia di raccontare gli Azzurri campioni del mondo

di RAFFAELE CICCARELLI*/ I giocatori di calcio, e gli sportivi in generale, diventano grandi campioni o anche fuoriclasse esaltando una loro particolare caratteristica che li rende unici. Nel caso di un giornalista sportivo, deputato a cantarne le gesta fornendo un contributo non indifferente alla fama di quel campione, conta il talento nella scrittura o, come nel caso di Bruno Pizzul, la capacità narrativa, di tradurre in parole le immagini. Una capacità non come quella del telecronista di oggi, urlata, a volte sguaiata, sempre alla ricerca delle iperboli, ma fatta di un linguaggio semplice, capace di esaltare nella sua pacatezza, con un tono che lo ha fatto diventare l’amico di famiglia del racconto sportivo. C’è un’altra caratteristica, infatti, che ha reso unico Pizzul: il timbro della voce, profondo e nasale, caldo e quasi suadente, una particolarità unica, immediatamente riconoscibile, accostabile in questo a un’altra grande voce, questa volta della radio, Sandro Ciotti.

Prima calciatore, poi telecronista. Bruno Pizzul amava lo sport, soprattutto amava il calcio, giocato a livello professionistico, nel ruolo di centromediano metodista secondo i sistemi di gioco dell’epoca, partendo dalla sua Cormons e arrivando all’altro estremo della Penisola, Catania, passando poi per Ischia, Sassari, Udine, ma interrompendo precocemente la carriera per un infortunio al ginocchio. Dopo la laurea in Giurisprudenza e un breve periodo di insegnamento, l’assunzione alla Rai e la possibilità di continuare ad alimentare la sua passione, anche se sotto altre vesti. In breve tempo iniziò a commentare il calcio, anche se la sua prima partita, un incontro di Coppa Italia tra Juventus e Bologna, vide il suo commento iniziare in ritardo, ma nessuno se ne accorse perché la trasmissione era in differita. Con il passare degli anni formò con Nando Martellini in televisione quello che in radio erano Ciotti ed Enrico Ameri, facendo la telecronaca ai maggiori avvenimenti calcistici in cui erano coinvolte le squadre italiane, commentando le vittorie e le sconfitte, con un grande dolore.

Pizzul era addetto alla telecronaca della finale di Coppa dei Campioni del 1985 tra Juventus e Liverpool, la “partita dell’Heysel” che non avrebbe mai voluto commentare per i suoi tragici risvolti. Dal 1986 divenne anche il cantore delle gesta della Nazionale, di cui aveva già fatto telecronache in precedenza, prendendo il posto proprio di Martellini, ma anche qui portandosi dietro un cruccio. A differenza dell’amico e collega, infatti, egli non poté mai avere la fortuna e la gioia di poter gridare “Campioni del Mondo!”, arrivandovi vicino nel mondiale italiano del 1990, quando narrò gli occhi di Totò Schillaci, ma non la finale per il terzo e quarto posto, impegnato in quella per il primo che vide vincere la Germania Ovest contro l’Argentina di un furibondo Diego Armando Maradona. Vicinissimo, quando dagli Stati Uniti accompagnò gli Azzurri fino alla finale di Pasadena esaltando i gol stavolta di Roberto Baggio, ma con il triste epilogo della sconfitta ai tiri di rigore contro il Brasile; ancora vicino a una vittoria Azzurra, quella dell’Europeo del 2000, persa contro la Francia al golden gol. Infine, dopo la conduzione di alcuni programmi sportivi, possiamo dire che ha attraversato un’epoca, e con la sua scomparsa si chiude probabilmente il tempo di un giornalismo televisivo semplice ma genuino, parlato e non urlato, da vero amico di famiglia.

*Storico dello sport

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