di ALESSANDRO LOGROSCINO (Ansa) – Un omaggio sobrio, ma commosso, con due protagonisti a interpretare il momento dell’estremo congedo e un intero Regno a fare da sfondo. La Gran Bretagna ha detto oggi addio al principe consorte Filippo, spirato venerdì 9 aprile quasi centenario, chiudendo un capitolo di storia nazionale durato quanto i 73 anni del suo matrimonio inossidabile con Elisabetta II. E la regina, a pochi giorni dal 95esimo compleanno, ha salutato per l’ultima volta l’uomo e il sostegno di una vita, aggrappandosi come sempre allo stoicismo d’un ferreo senso del dovere, eppure ripiegata nella solitudine del crepuscolo senza poter nascondere un dolore umano profondo: segnato da qualche inusuale lacrima inghiottita a stento, in piedi dinanzi alla bara.
Il funerale, non di Stato, ma solenne – prescritto dalle minuziose volontà dello scomparso e sancito dalle non meno rigorose indicazioni fissate dalla sovrana per garantire che tutti i riflettori del tributo nazionale fossero puntati sul marito – si è svolto secondo le cronometriche cadenze militari che il duca di Edimburgo, veterano della Seconda Guerra Mondiale tra le file della Royal Navy e figura popolare per quanto non aliena a controversie e gaffe politicamente scorrette, amava. Con il Regno che si è fermato per un minuto in silenzio, da Boris Johnson in giù, ma senza fronzoli o clamori (salvo una militante ambientalista esibitasi a distanza in topless, quasi inosservata). E con gli stessi componenti della Royal Family confinati a fare corona.
Complici gli obblighi dell’emergenza Covid, che hanno circoscritto l’accesso alla cappella di St George annessa al Castello di Windsor per il rito della sepoltura a una trentina tra familiari e cortigiani strettissimi; e limitato a qualche presenza alla spicciolata i raduni di sudditi e curiosi all’esterno, malgrado il sole della prima giornata davvero primaverile di quest’aprile. Tutto è iniziato con un breve corteo dietro il feretro, coperto dallo stendardo del principe, dal suo berretto e dalla sua sciabola di ufficiale di Marina sul cassone della Land Rover verde militare che lo scomparso – bastian contrario sino alla fine – aveva fatto modificare in forma di stravagante carro funebre in barba a tutte le tradizioni del cerimoniale. Corteo guidato a piedi dall’erede al trono Carlo e dagli altri figli della coppia reale (Anna, Andrea, Edoardo), seguiti da tre dei nipoti William e Harry (figli di Carlo e Diana) e Peter Philips (primogenito di Anna), dal genero Timothy Laurence e da David Linley, figlio della principessa Margaret.
Tutti in abiti civili, e con Elisabetta separata nel tragitto a bordo d’una Bentley reale. Un ordine di precedenze concepito per evitare distrazioni, con gli attesissimi principi William e Harry, al primo incontro dopo il traumatico strappo del fratello minore dal casato e del suo trasferimento in America assieme alla moglie Meghan, tenuti separati dal protocollo. E peraltro ritrovatisi poi all’uscita per una chiacchierata all’apparenza serena allargata a Kate, consorte del primogenito. Comparse, comunque, in una giornata dove a dominare è stato il ricordo della personalità eccentrica di Prince Philip e del suo incrollabile legame con la donna che per tutti era e resta Sua Maestà la regina, ma per lui è stata Lillibet fin da quando s’incontrarono ragazzi. Oltre alla commozione dei loro quattro figli, testimoniata in particolare in primo piano dai due più anziani: l’eterno erede Carlo e Anna, ormai entrambi ultrasettantenni, incapaci di celare gli occhi lucidi l’uno, addirittura i singhiozzi sotto la veletta nera l’altra. Ricordo riecheggiato in tanti dettagli, dallo schieramento dei reparti in alta uniforme, alla presenza del calesse favorito, alla scelta di musiche e preghiere predisposta con cura dal defunto per una liturgia tanto rigorosa quanto snella. Inni e orazioni legati alla tradizione marinara cara al duca, come pure all’eco di quella delle Chiese ortodosse greca e russa, in ossequio alle radici del consorte di Elisabetta: nato Filippos a Corfù nella famiglia reale di Grecia, con sangue tedesco, russo e danese nelle vene, e sbarcato come esule e outsider Oltremanica fino a diventare nelle parole del royal correspondent Duncan Larcombe “il richiedente asilo di maggior successo nella storia britannica”.
Il tutto condito da poche parole di omaggio pubblico affidate ai concelebranti, il rettore di Windsor, David Connor, e l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby, in assenza d’un vero e proprio elogio funebre, secondo i gusti di un uomo che amava andare per le spicce persino come fedele, sino a minacciare una volta – scherzando fino a un certo punto – di far rinchiudere un vescovo “nella Torre di Londra” se la sua omelia fosse durata “più di 8 minuti”. “Siamo qui oggi nella Cappella di St George per affidare alle mani di Dio l’anima del suo servo il Principe Filippo, Duca d’Edimburgo”, s’è limitato a dire Connor, esprimendo “la gratitudine” dei presenti per “la sua lunga vita”. Non senza esaltarne “la lealtà infrangibile alla nostra Regina, il suo servizio alla nazione e al Commonwealth, il suo coraggio, la sua fede”, ma pure “l’humour” caustico e “l’umanità”. Forse ciò che mancherà di più a Elisabetta.
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