Sul sito de “l’Unità” è apparsa – e rapidamente scomparsa – la risposta del senatore Pd Miguel Gotor* ad un articolo del direttore, Sergio Staino (noto come Bobo, per il personaggio delle sue vignette) dal titolo “Ora un sì anche per l’America”. La pubblichiamo perché molto illuminante sul perché è necessario votare NO al referendum del 4 dicembre.
«Caro Sergio Staino,
ho letto il tuo editoriale sull’Unità (“Ora un sì anche per l’America” ) e vorrei provare a spiegarti con pacatezza, come si fa tra vecchi compagni, perché gli argomenti che usi mi paiono fragili e non mi convincono per nulla. Soprattutto non mi convincono a cambiare idea sul referendum, che è poi l’obiettivo del tuo – quasi disperato – appello rivolto non certo a me personalmente, come è ovvio, ma a quanti pensano che la riforma costituzionale sia sbagliata e sono decisi a votare no.
Intanto, non capisco perché pensi che quelli di sinistra che voteranno no al referendum costituzionale siano tutti intenti a “guardarsi scrupolosamente l’ombelico” invece che affacciarsi alla finestra e osservare come si agitano i populismi galvanizzati dalla vittoria di Trump. Devi avere una pessima idea dei tuoi amici di sinistra che non la pensano come Renzi se li immagini seduti in poltrona, magari in pantofole e tutti presi da sofisticati ragionamenti astratti che poco hanno a che fare con la realtà che li circonda. Una specie di nuova sinistra radical chic, molto salottiera e magari ancora amante del cachemire, storico simbolo della separazione dal popolo. Converrai che come premessa per un confronto sereno non sia, almeno per me che vengo da una famiglia operaia che il salotto nemmeno lo aveva, delle migliori e anzi risulti anche un po’ irritante.
Ma siccome vengo da una bella storia politica (quella del Pci di Enrico Berlinguer) e da una straordinaria esperienza giornalistica (quella dell’Unita) che mi hanno insegnato a capire, ad avere dubbi e a confrontarmi con chi la pensa in modo diverso dal mio, sorvolo sulla brutta premessa e vengo alla sostanza del tuo editoriale. Che, in maniera semplificata, sintetizzo così: cari compagni che volete votare no, perché non sentite il vento che viene dall’America, perché non capite la pericolosità di Trump, perché non vi rendete conto che i populisti assediano l’Europa e potrebbero insidiare anche l’Italia e vi ostinate a votare no al referendum facendo cadere un governo che è un esempio per le democrazie occidentali? Perché, chiedi ancora, “per giustificare la propria esistenza” si arriva a una “critica feroce” della riforma costituzionale che potrà avere “qualche limite” ma “è niente di fronte alla tragedia che si sta preparando”? Votare sì il 4 dicembre, ci spieghi, significa difendere “sentimenti, valori umani, politici e culturali che vanno ben al di la del singolo quesito”. Concludi invitando a non fare in modo che l’Italia “si sommi a questo blocco terrifico che la crisi economica e la paura del futuro stanno costruendo”.
Vedi, caro Sergio, ho sempre pensato che il referendum fosse sulle modifiche costituzionali approvate dal Parlamento e non sul governo o su Renzi o sui populismi. Ho sempre pensato che non si votasse sui sentimenti o i valori umani politici e culturali di cui parli, perché quelli credo ce l’abbiamo nel nostro Dna sia io che te e tutti quelli che si riconoscono nella prima parte della Costituzione antifascista e nei valori fondanti che indica. Ho sempre pensato che noi, tutti noi di sinistra o di centrosinistra, siamo contro le destre, contro i populismi che stanno destabilizzando l’Europa. Insomma, ho sempre pensato che non si dovesse votare su questo coacervo di grandi questioni ma più semplicemente su una modifica costituzionale che riguarda il funzionamento delle nostre istituzioni.
Ho sempre pensato cosi. Poi però ho visto che il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha alzato il tiro e ha deciso che il 4 dicembre non fosse più il giorno di un referendum ma il giorno del giudizio: su di lui, sul governo, sul futuro, sul passato, diciamo uno spartiacque tra il Bene e il Male, e il Bene ovviamente era identificato con la sua persona. A un certo punto ti confesso che, preso da quel fottuto senso di responsabilità che noi ex comunisti abbiamo nel sangue, ho anche tentennato. Nonostante ritenessi profondamente sbagliata quella riforma costituzionale, ho pensato che sì, è fatta male, è confusa, ha molti difetti, può anche creare qualche grave cortocircuito, però la destra, Grillo, i populisti, Orban, la Brexit ecc…
Ci ho riflettuto a lungo. Mi sono tormentato. Ma alla fine ho deciso che era un modo del tutto sbagliato e anche un po’ ricattatorio di estorcere il mio Sì su una materia cosi delicata come quella costituzionale. Ho pensato tra me e me che i costituenti, quelli che hanno scritto la nostra Carta, non sarebbero stati contenti se io avessi deciso sull’onda di un’emozione extracostituzionale piuttosto che nel merito costituzionale. Bada bene, voglio essere chiaro per evitare equivoci: un principio, quello espresso dai miei immaginari costituenti, valido sia per chi vota sì che per chi vota no. E dunque quello che conta alla fine, da bravi elettori, è il giudizio che ci siamo fatti su quella riforma leggendola attentamente, studiandola nei suoi passaggi, valutando i pro e i contro.
Così ho fatto, senza alcuna prevenzione nei confronti di chicchessia. Sulla base di questa analisi ritengo che la riforma sia sbagliata e confusa. Non abolisce il Senato come si dice in pompa magna, ma crea un Senaticchio che voterà ancora diverse leggi, definite da un articolo che a leggerlo ti viene il mal di mare. Potrà richiamare, per esaminarla ed esprimere un parere anche se non vincolante, qualunque legge approvata dalla Camera e questo sicuramente, come si dice ancora in pompa magna, non velocizzerà l’approvazione delle leggi, soprattutto perché come ben sai il Senato e la Camera hanno un’altissima probabilità di avere due maggioranze diverse visto che saranno elette in tempi diversi, una alle politiche e l’altra alle regionali. E pensi, per fare un esempio, che un Senato a maggioranza grillina non richiamerà tutte le leggi di una Camera a maggioranza Pd o viceversa?
Questo nuovo Senato, inoltre, potrà dire la sua sulle leggi di revisione costituzionale o sulla materia elettorale anche se i suoi rappresentanti, sulla base del testo approvato, non sono eletti direttamente dal popolo sovrano, però stranamente non potrà mettere bocca sulle leggi di bilancio che toccano anche la vita delle Regioni e degli enti territoriali che i nuovi senatori dovrebbero rappresentare, visto che qualsiasi obiezione espressa dai senatori in fase di richiamo della legge sarà superabile con il voto a maggioranza assoluta della Camera. Mentre della nuova assemblea faranno parte i senatori a vita e quindi anche gli ex presidenti della Repubblica che non si capisce che cosa c’entrino con un Senato delle Regioni che rappresenta i territori. Insomma, un guazzabuglio. Al quale va aggiunta la contraddizione che c’è tra la creazione di un Senato delle Regioni e il ritorno del centralismo statale che toglie poteri alle Regioni stesse rimodificando il titolo quinto della Costituzione.
Sì, certo c’è anche qualcosa di buono come la possibilità di un abbassamento del quorum nei referendum abrogativi e una maggiore attenzione (ancora però da definire con i regolamenti parlamentari) nei confronti delle leggi di iniziativa popolare oppure la promozione dell’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza, ma a me pare molto poco per spingere a un voto positivo. Come vedi non ho nemmeno citato l’Italicum che se restasse in vita aggraverebbe di gran lunga la situazione. Ma per me quella riforma non va a prescindere dalla legge elettorale e da come sarà modificata, se mai sarà modificata sulla base di un accordo nella commissione del Pd che persino i sostenitori dell’Italicum (come D’Alimonte e Ceccanti) definiscono ambiguo e contraddittorio.
Avendo queste pesanti obiezioni di merito non credo sia giusto sorvolare, come tu chiedi, e votare in modo diverso da quello che mi detta la mia coscienza di cittadino-elettore solo perché Matteo Renzi ha deciso, contro tutti, di drammatizzare e personalizzare il referendum trasformandolo in una battaglia di fine di mondo, in una gara tra migliori e peggiori, in una guerra tra chi difende il passato e le nefandezze del passato e chi lavora per il futuro e le magnifiche sorti e progressive del futuro. In sostanza, in un voto di legittimazione della sua leadership. Ha sbagliato a farlo. In tanti glielo avevano detto, senza però essere ascoltati, com’è nel suo stile decisionista.
E allora caro Sergio, un gravissimo e pericoloso errore di Renzi – un errore tanto più ingiustificabile visto che parliamo di Costituzione e non di bruscolini – e questa furibonda battaglia senza esclusione di colpi che io non ho voluto, considero dannosa e sono sicuro che lascerà ferite difficilmente rimarginabili e che altri invece, come vedi tu stesso, fomentano ogni giorno, non possono assolutamente inficiare il mio libero voto. Non permetto che inficino il mio libero voto.
Sono un uomo di sinistra, sono contro i populismi e anche, aggiungo, contro il virus dell’antipolitica (che, stai attento, attecchisce anche dalle nostre parti se guardi bene la campagna referendaria del Pd sui politici da tagliare), non ho mai votato né mai voterò per Grillo, per Salvini o per Berlusconi e i suoi eredi, ma difendo con determinazione la mia libertà di dire no a una riforma che giudico completamente sbagliata. Quando si tratta di Costituzione per me non vale né varrà mai la regola del “meno peggio”».
*Miguel Gotor è docente di Storia all’Università di Torino
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