Dal numero di ieri, 26 aprile, del “Fatto quotidiano“ riprendiamo, e riproponiamo integralmente ai nostri lettori, questo imperdibile pezzo di sferzante satira politica del direttore Marco Travaglio, intitolato “MACARON“.
«Che avrà fatto di male Emmanuel Macron? Noi non lo sappiamo, e forse neppure lui. Ma qualche peccato mortale sulla coscienza deve averlo, per meritarsi gli endorsement di tutti i peggiori menagramo sulla piazza mondiale. Chi pensa che il leader di En Marche! abbia l’Eliseo in tasca non può sottovalutare l’effetto mortifero che potrebbe sortire l’appoggio entusiastico di Juncker e Hollande, due tra i catafalchi più nefasti della scena europea. Un doppio bacio della morte aggravato dallo sciame di mosche cocchiere italiote, da Renzi in giù, a cui non pare vero di saltare sul carro del (presunto) vincitore dopo aver perso tutte le elezioni del 2016, in proprio o in conto terzi: le Comunali, la Brexit, le Presidenziali Usa e il referendum. Ignari del fatto che in Francia c’è ancora il ballottaggio, non riescono a trattenere le lingue e fanno a gara a chi è il più Macron del reame. Ricordate le tre giovani marmotte del socialismo europeo in camicia bianca alla festa dell’Unità di Bologna 2014? Il francese Valls, lo spagnolo Sanchez, il tedesco Post, l’olandese Samson, il mezzo toscano Renzi. Nel giro di due anni e mezzo, en plein: Renzi s’è dimesso, Valls s’è dimesso, Sanchez s’è dimesso, i laburisti di Samson han perso le elezioni e Post è disperso. Così ora il pie’ veloce Matteo si sente tanto Macron. Domenica sera, previ exit poll che lo davano in testa, ha dichiarato: “Se fossi francese voterei Macron”. Il quale, incredibilmente, ce l’ha fatta lo stesso. Poi, a risultati acquisiti, riecco lo Zelig di Rignano: “Macron potrebbe dare molta forza a chi vuole cambiare l’Europa” (che però a Macron piace così com’è: franco-tedesca); “Bravo Macron: la sfida inizia adesso. E riguarda anche l’Italia. Avanti, insieme”. Come dire: “En Marche!” l’ho inventato io.
Sarebbe il top della comicità, se non arrivasse Andrea Romano a battere il record: “Macron si è ispirato ad alcune proposte di Renzi, le sue proposte somigliano a quelle di Matteo, come il bonus cultura dei 500 euro. E poi la linea è la stessa, quella di un europeismo solido” visto che “il Pd attuale” è “riformista, contro la conservazione e contro l’establishment”. Il che, detto da uno che stava con D’Alema, con Montezemolo e poi con Monti, è davvero irresistibile. Quindi è ufficiale: Emmanuel=Matteo, a parte alcuni dettagliucci come le elezioni e l’uscita dal suo partito per fondare un movimento anti-partiti. Mentre Macron, ammesso e non concesso che conosca Romano, comprensibilmente si gratta, un’altra spinta verso il baratro gliela dà il noto portafortuna Giorgio Napolitano, che di solito ne stecchisce più della peste.
“Il voto ha smentito le tesi catastrofiste circa la possibilità di bloccare l’ascesa della Le Pen e del populismo nella nostra Europa”, cioè nella sua. Inutile dunque aspettare il ballottaggio: Macron ha già vinto, parola di Re Giorgio. Sandro Gozi, sottosegretario agli Esteri, è il miglior amico di Macron a sua insaputa: pare che da piccoli giocassero a biglie insieme. La Stampa scopre che “è stato uno dei primi a cui il 39enne rivelò di voler fondare un movimento”. Sono soddisfazioni: in Francia e non solo, quando uno vuol fondare un movimento a chi telefona? A Gozi, per chiedere il permesso. E lui, magnanimo, accondiscende. Ecco il suo prezioso consiglio per vincere: “Fai attenzione (si danno del tu, ndr) a non farti strumentalizzare con questi scivoloni (la cena chic sulla Rive Gauche), sei un uomo ambizioso ma semplice”. Come tutti i dirigenti di banca Rothschild e ministri dell’Economia, legati a Confindustria e all’Arabia Saudita: praticamente un senzatetto. Ma la lista dei migliori amici italiani è lunghissima: Monti, Letta, Calenda e pure la Madia, che dichiara (copiando da non si sa chi): “Il messaggio più forte è che si può riuscire a cambiare l’Europa con la forza della politica”. Cos’abbia cambiato Macron dell’Europa non è dato sapere, ma appena trova qualcos’altro da copiare Marianna ce lo fa sapere.
Poteva mancare Fassino? Non poteva: “Nasce in Francia ciò che in Italia era sorto con il Pd” (il partito dei banchieri). E qui Macron, sempreché sappia chi è Fassino, l’amuleto prediletto di Grillo e Appendino, sarà andato a farsi benedire. Ma a far vacillare le certezze del favorito francese, che – diciamolo – non meritava tanto, è l’endorsement di Gennaro Migliore: “L’analogia fra Macron e Renzi sta nella loro capacità di innovare la sinistra”. “Non, Gennarò Miglioré non!”, ha urlato lo sventurato candidato transalpino, mentre dalle mani impegnate in irriferibili scongiuri gli cadeva lo smartphone in mille pezzi. Non poteva sapere che, intanto, si erano aperte le cateratte, con le terribili adesioni di Martina (“Segnale fondamentale per tutti i riformisti progressisti europei”), Parisi (“I partiti tradizionali sono superati”), Brunetta (“È un lib lab come me”), Sacconi (“Vincerà e confermerà importanti riforme del lavoro e dell’economia”) e del montiano Rabino (“Ha buone possibilità di battere la Le Pen, sono pronto a sostenerlo”). Aggrappato a un maxi-corno napoletano, Macron perdeva quel che restava del suo aplomb: “Ragazzi, tocchiamoci: mancano Scalfari e Ferrara, e siamo spacciati”. Nessuno aveva cuore di comunicargli che la doppia catastrofe si era già consumata: Scalfari auspicava la sua vittoria nell’ultimo sermone domenicale e Ferrara, noto inceneritore di suoi beniamini, sul Foglio di ieri lo definiva “una ciambella col buco” e, in tandem col rag. Cerasa, lo gufava da par suo: “Macron ce l’ha fatta e potrebbe essere il presidente francese europeista, riformatore, mondialista, liberale, a meno di eventi imprevedibili”. Tipo l’appoggio di Ferrara e di tutti i nessuno d’Italia che provano a essere qualcuno in Francia».
Marco Travaglio
(da Il Fatto quotidiano del 26 aprile 2017)
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