“Il Fatto quotidiano” è uno dei pochi giornali nazionali (quasi l’unico) che non si sono assoggettati al ruolo di ventriloqui di Renzi e dei suoi fedeli portavoce. Gli editoriali di Marco Travaglio sono tutte le mattine un buon viatico per coloro (sempre più numerosi) che vogliono iniziare la giornata scrollandosi di dosso il conformismo imperante nei mezzi di comunicazione. Oggi vi proponiamo in questa rubrica due articoli – di Daniela Ranieri e di Luisella Costamagna – dedicati alla riunione di ieri della Direzione del Pd. Che sono anche uno stimolo a leggere tutto il giornale (e il suo sito).
Il Requiem del lanciafiamme
di Daniela Ranieri
Inizia con mezz’ora di ritardo
il media event dell’anno,
la direzione del Pd che
biblicamente chiameremo il
Discorso del Lanciafiamme.
Schermata fissa con musica
lounge tipo Buddha bar quando
ti aspetteresti la Cavalcata
delle Valchirie di Apocalypse
now. Alle 15:36 tra sudori fantozziani
si sente una voce umana
ma purtroppo è quella di
Orfini (come sia riuscito quest’uomo
a perfezionare la nota
vocale insopportabile di D’Alema
è un mistero). Ma ecco: il
Segretario va verso il leggìo
con la camminata putiniana. È
serio, concentrato. L’incipit è
sul terrorismo (“A Dacca siamo
sia vittime sia desiderosi di
ripartenza”) inteso come concetto
morale e condotta di vita
opposti a quell del Pd renziano.
Si insiste sul “Per ogni euro in
sicurezza un euro investito in
scuola”: forse il discorso era
stato preparato prima
di sapere che i
kamikaze erano
laureati in scuole
d’élite.
Inizia la collaudata
scena
da commedia
dell’arte in cui lui
impersona sia se
stesso sia l’interlocutore
grullo reso in chiave parodistica:
“Ah però tu c’hai un problema,
non poni le questioni legate
alla povere gente”, gli dice
l’obiettante ottuso, il quale non
sa che che il Jobs Act “è una cosa
che serve agli italiani”. Poi
una lunga serie di “considero
di sinistra” (copiata dal “c o nsidero
valore” di Erri De Luca),
e sono tutte cose di destra,
mancano solo le misure della
Thatcher. Poi la consueta strategia
di creare coppie di opposti
a giochi di parole (“V o g l i amo
salvare i bancari ci interessano
meno i banchieri”, “P a ssare
da una democrazia dei veti
a una democrazia
dei voti”) e rovesciamenti
apodittici
(“Il Jobs Act
ha messo alle
corde il precariato”,
come sanno
bene i precari).
Di colpo, un “Amici
e compagni”. Nel
senso che qualcuno è amico
e qualcuno compagno? O entrambe
le cose? E se sì, in quale
percentuale? Boschi, ad esempio
– che disse di preferire Fanfani
a Berlinguer –è 95% amica
e 5% compagna? Comunque il
lanciafiamme ha sbriciolato la
riserva di “b e ll e z z a ”, “s t u p ore”,“
emozione”(al massimo si
ha “Facciamo la festa dell’Unità
nei luoghi di Montalbano”),
e degli 80 euro. Ma, al sodo:
“Chi ha una strategia alternativa
la presenti” ( # e n ri c ostaisereno
era una strategia
alternativa).
Salgono sul palco sconosciuti
che nessuno ascolta. Una
signora della sinistra Pd in
giacca Chanel si rivolge a
“Mat teo” con parole alate
s ul l’“uguaglianza materiale”.
Lui controlla l’iPhone, si annoia,
il suo vitalismo costretto
a liturgie che detesta.
Un guizzo quando sul palco
sale il viceré di Campania Vincenzo
De Luca: la parlata da
cantante italiano in Argentina,
inanella in prosa ottocentesca
una serie di contumelie e
oltraggi contro Fassina e Virginia
Raggi (“una bambolina
imbambolata”). Il pubblico di
deputati, ministri e senatori ride.
Lui, la postura da t a n g u ero,
scende come se avesse sconfitto
i Mori. Matteo si spella le
mani.
Fassino: camicia celestina
aperta, l’aria stazzonata, pare
un degente del San Camillo dopo
una colecistectomia. Dopo
la riunione motivazionale del
Folletto Vorwerk imbastita da
Matteo, Cuperlo, la “erre” da
blasonato, apre su un interno
londinese (“Ci votano i quartieri
del centro”), una goccia di
latte nel tè (“Esci dal talent di
un’Italia patinata e fatta di opportunità”).
Franceschini, ministro della
Cultura, rilascia: “Siamo
dentro questo schema, lo schema
nuovo è populisti e sistemici,
dobbiamo aggregare i contrapposti
al populismo che
tende a aggregarsi”, mah. Aleggia
il fantasma di D’Alema,
convitato di pietra; si aspetta
che parli lui come quando alla
Via Crucis si aspetta il Papa
che recita il Pater Noster.
Quando parla Speranza, Renzi,
che ha twittato in faccia a
Napolitano e con Putin controllava
le news, forse sta giocando
a Angry Birds. Orfini fa
desiderare a tutti un bicchierone
di Polase.
La prossima direzione del
Pd bisognerebbe farla nelle
scuole, per far passare fin da
subito ai giovani la voglia di
andare a votare.
Daniela Ranieri
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Minoranza Pd, non dovete abboccare
di Luisella Costamagna
Cara minoranza Pd,
ieri in direzione qualcuno
di voi le ha cantate
a Renzi, impara
la modestia, così si va
a sbattere… Ma cosa cambierà?
Nulla, come sempre. Facciamo
un passo indietro.
Ricordate quando eravate
maggioranza? Dopo le elezioni
2013, quando “siete arrivati primi
ma non avete vinto”.
Poi è arrivato Renzi. Molti di
voi sono saliti sul nuovo carro, altri
– dopo un po’ – hanno scelto
un’altra strada. Voi invece non
siete saliti, no, ma avete spinto
l’affollato barroccio quando beccava
una buca, oliato le ruote,
scalzato le pietre dal sentiero
perché non si ribaltasse. Siete diventati
minoranza. Nel tragitto
avete incrociato i vostri elettori:
alzavano lo sguardo dubbioso
verso Renzi e i suoi adepti, poi vedevano
voi e si riconoscevano. “È
ancora il nostro Pd”, si rincuoravano
e riprendevano il cammino.
RICORDATE quando eravate
maggioranza?
Dopo il 41% con gli 80 euro è
arrivato il Jobs Act, non vi piaceva
ma l’avete votato (e come poteva
piacervi l’abo lizi one
dell’art. 18, contro cui manifestavate
al Circo Massimo?); la riforma
della scuola, non vi piaceva
ma l’avete votata (e come poteva
piacervi con tutti gli insegnanti,
vostri elettori, in piazza?); l’uso
del contante, gli scandali Etruria,
Trivellopoli…e voi sempre lì a digerire
rospi e a spingere il carro.
E l’Italicum, “inaccettabile ” ma
lo accettiamo, la riforma del Senato,
tanto Renzi ci ha promesso
che poi metterà l’elezione diretta
dei senatori. Per strada gli elettori,
vedendovi, non si tranquillizzavano
più, anzi: “Però pure
loro…sono ancora lì?”, si dicevano
prendendo a calci i ciottoli.
Ricordate quando eravate
maggioranza?
Dopo l’a n t i p asto
delle Regionali,
la disfatta
comunale: ammin
i s t r a v a t e 9 0
grandi città, ora la
metà. I calci sono
arrivati nelle urne.
E dalle periferie
della vostra
tradizione popolare,
vi hanno
spedito a sorseggiare
calici amari
nei salotti dei Parioli (Roma) e
della Crocetta (Torino). “È il momento
di separare l’incarico di
premier da quello da segretario”,
avete tuonato a caldo. A freddo, si
è raffreddato anche il coraggio.
Cara minoranza, ma il vostro
momento giusto quando arriva?
Non avete chiesto le dimissioni
da segretario perché aspettate
il congresso, “dopo il referendum”,
ha promesso Renzi. Sapete
che quel “dopo” per lui è tra 18
mesi? Anche le modifiche all’Ita –
licum (che non conviene più, col
M5S primo partito) “solo dopo il
referendum” (tanto “non ci sono
i numeri”), e pure l’elezione dei
senatori. Renzi sì ha una concezione
chiara del tempo: lui viene
prima, il resto – voi compresi –
dopo. Per lui conta solo vincere a
ottobre, e per conquistarvi vi
promette un fantomatico “d opo”:
vi fidate ancora del “soste –
netemi poi vi darò quello che
chiedete”? Gli italiani pare l’ab –
biano ormai decodificato e non si
facciano più abbindolare: e politici
navigati come voi? O lo sapete
benissimo, ma il problema è
mantenere la vacillante poltrona?
Provate a immaginare: voi ora
tirate su a braccia il carro, lo
fate ripartire e Renzi taglia il traguardo.
“Dopo”chi lo ferma più?
Tronfio volerà verso le politiche
e sceglierà i candidati: ci sarete
anche voi?
Ricordate quando eravate
maggioranza? Chissà, magari
“dopo” potreste non essere più
manco minoranza.
Un cordiale saluto.
Luisella Costamagna
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