Per la rubrica “L’ALTRO degli altri” riteniamo opportuno riportare oggi l’editoriale del Fatto quotidiano di mercoledì scritto dal suo direttore, Marco Travaglio, a proposito delle indignazioni sollevatesi, a sproposito, contro la sentenza della Cassazione su un episodio di stupro avvenuto alcuni anni fa.
Travaglio premette: «Da quando i processi sono diventati come le partite di calcio e 50 milioni di italiani si dividono, nel tempo libero, fra gli aspiranti ct della Nazionale e i giudici a latere, se ne sentono di tutti i colori».
Poi così prosegue: «Ora fa discutere una sentenza della Cassazione che ha condannato a 3 anni due cinquantenni, un italiano e un romeno, per avere stuprato nel 2009 una conoscente romena che aveva cenato, fumato cannabis e bevuto fino a ubriacarsi con loro. In primo grado, il gup li aveva assolti: sia perché la giovane aveva cambiato tre volte versione, sia perché dopo il sesso e la fuga al pronto soccorso aveva telefonato ai presunti aggressori, sia perché i segni di resistenza sul corpo erano scarsi e controversi. In appello, la Corte aveva ribaltato la sentenza, condannando i due per lo stupro di gruppo a 3 anni con le attenuanti generiche (erano incensurati), prevalenti sull’aggravante di aver costretto la ragazza a ubriacarsi. Condanna confermata in via definitiva dalla Cassazione, che però ha trasmesso gli atti all’appello per far eliminare l’aggravante dell’uso di alcol (peraltro assorbita dalle attenuanti generiche), esclusa dalla legge se la vittima ha bevuto sua sponte, senza costrizione.
Non è un gentile omaggio ai due stupratori: è l’articolo 609 ter comma 1 n. 2 del Codice penale, frutto di una legge del febbraio ’96 (governo Dini, sostenuto da centrosinistra e Lega Nord con l’astensione del centrodestra): la pena va aumentata se la violenza sessuale è stata commessa “con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa”. Cioè se la vittima è stata costretta ad abbassare le difese per agevolare il compito dello stupratore. Ma non è questo il caso esaminato dal processo, dove anzi è emerso inequivocabilmente che la ragazza andò a cena con un amico e due conoscenti; tutti e quattro bevvero molto vino e si fecero qualche canna; poi l’amico se ne andò, ma la donna restò con gli altri due, che le avevano già rivolto avance a tavola; questi la portarono in camera costringendola a subire rapporti sessuali. Dunque lo stupro è provato, ma l’aggravante della costrizione all’alcol no. Una sentenza impeccabile, fra l’altro emessa da un collegio presieduto da una donna.
Ma ecco i soliti politici e politiche che straparlano per finire sui giornali senz’aver letto (o, peggio ancora, capito) la sentenza».
Travaglio ne elenca alcuni.
«Stefania Prestigiacomo di FI, “pur aspettando di leggere le motivazioni” (e allora che ne sa?), definisce “sorprendente la decisione della Cassazione” perché a lei, non si sa in base a cosa, “appare evidente che una vittima sotto effetto dell’alcol è ancora più indifesa. Questa sentenza riporta indietro le lancette dell’orologio”. L’ex ministra Pd Roberta Pinotti si associa all’autorevole parere di sua figlia (“che vergogna”) su una sentenza che “non prevede aggravante perché la vittima era ubriaca” (cazzata sesquipedale). L’ex ministra Pd Valeria Fedeli, dall’alto della sua falsa laurea, invita non si sa bene chi a “reagire e contrastare questa regressione culturale e politica!”. Punto, punto e virgola, punto esclamativo: massì, abbondiamo.
Alessia Morani (Pd), inopinatamente laureata in Legge, blatera di “sentenza veramente scandalosa”, anche perché non la conosce: infatti sostiene che la Cassazione ha ignorato che “stuprare una donna ubriaca è comunque e sempre gravissimo anche se ha bevuto volontariamente” e ha stabilito che la ragazza “in fondo se l’è cercata” (con l’hashtag #poverenoi, anzi #poveralei).
Alessandra Mussolini, nota giureconsulta, sollecita il Csm a “intervenire” (come se fosse il quarto grado di giudizio) e altri soggetti imprecisati a “combattere in prima linea”.
Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo, subito ritwittato dal governatore Pd dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, spiega alla Corte che “stuprare una donna ubriaca è PIÙ grave, non meno grave, a prescindere se abbia bevuto di sua volontà. Siamo ancora al ‘se l’è cercata’?”».
«Casomai questi giuristi per caso volessero sapere qualcosa della sentenza che commentano – prosegue Travaglio – ne citiamo un paio di passaggi: “Integra il reato di violenza sessuale di gruppo, con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcoliche, essendo l’aggressione all’altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose o subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcol e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all’assunzione di dette sostanze”. Ergo gli stupratori vengono condannati perché “le condizioni della vittima, pacifiche, non consentivano un consenso ai rapporti sessuali”. Però “l’assunzione volontaria dell’alcol esclude la sussistenza dell’aggravante, poiché… deve essere il soggetto attivo del reato che usa l’alcol per compiere la violenza, somministrandolo alla vittima; invece l’uso volontario incide, sì, sulla valutazione del valido consenso, ma non anche sulla sussistenza dell’aggravante”. Ma la sentenza in difesa della stuprata viene ribaltata in un regalo agli stupratori da un branco di somari/e. I quali – conclude l’editoriale del direttore del Fatto quotidiano – potrebbero più utilmente rivolgere il loro sdegno al vero scandalo di questo e di mille altri processi: gli stupratori non faranno un giorno di galera, perché in Italia le pene sotto i 4 anni si scontano comodamente a casa. Ma è improbabile che la cosa indigni FI&Pd, visto che è tutto merito di leggi volute e votate da loro».
Commenta per primo