Nonostante la crisi economica, i club italiani di calcio sono tornati a spendere e molto in questo mercato estivo che si è chiuso il 31 agosto. Investiti 600 milioni di euro. Come è stato possibile nonostante i numerosi debiti che hanno? Merito, o colpa fate voi, del nuovo fair play finanziario introdotto da Uefa ed Eca (l’Associazione Club Europei). In pratica , si può investire di più avendo una strategia seria, ma, se si sgarra le conseguenze saranno peggiori. Una linea politica rivista e corretta per nuovi e vecchi proprietari. Una linea politica decisa anche alla luce del nuovo spirito europeo che tende ad allentare l’austerity post-crisi. Soprattutto dopo le tante pressioni da parte di club ricchi e scontenti del vecchio fair-play finanziario come Paris Saint Germain e Manchester City, e da parte di chi si è ritrovato a fare i conti con cattive gestioni passate senza avere colpe dirette: il presidente della Roma Pallotta e il patron interista Thohir. Nel frattempo, il buon vecchio FFP è riuscito comunque ad abbassare il deficit dei club europei da 1,7 miliardi a 0,5.
L’allarme di Kalle. Questa sorta di rivoluzione era stata chiesta a gran voce dall’ex attaccante dell’Inter Karl Heinz Rummenigge, oggi presidente del Bayern Monaco e della stessa Eca: “Se club storici come Milan e Inter sono in difficoltà finanziaria e restano fuori dalle Coppe Europee si impoverisce tutto il sistema”. Da qui la nascita del “fair play 2.0”, ovvero: favorire gli investimenti, aiutando sia chi è in regola, sia i nuovi azionisti, sia chi fatica a entrare nelle competizioni europee per club. Un modo anche per combattere il famoso “effetto fotografia”, distorsione evidente del FFP; cioè, chi era ricco nel momento giusto e si è trovato in Champions League, sarà sempre più ricco. Chi era povero invece avrà poche possibilità di entrare in Coppa Campioni.
Facciamo qualche esempio. Le due milanesi per tornare in Champions League hanno bisogno (ripetiamo: si tratta di un esempio) di investire almeno 120 milioni di euro a testa. Tutto questo nonostante i bilanci in rosso. Come possono farlo senza finire in bancarotta? Chiedendo un “voluntary agreement” all’Uefa. In tal modo, i club devono presentare un business plan nel quale indicare investimenti, ricavi e perdite previste. Naturalmente, devono indicare cifre credibili non ipotetiche; tra i ricavi ad esempio non si può indicare la futura partecipazione alla Champions (sarebbe come un biglietto della lotteria) ma entrate da diritti tv, sponsor e merchandising. L’altro punto fondamentale della riforma è questo: visto che le spese sono ammortizzate in più anni, i club possono spalmare i 120 milioni spesi in 4 anni (30 all’anno) e vedersi scontati dall’Uefa i 30 milioni del primo anno. Un abbattimento del 25%. Infine, accedendo al “voluntary agreement” vengono scontati anche i milioni di deficit delle società. Ovviamente, nel frattempo, i patron, o chi per loro, dovranno garantire tutte le perdite previste nei 4 anni al momento stesso della richiesta con fidejussioni o altro. Se poi alla fine del ciclo il club non rispetta le regole, non avrà possibilità di patteggiare ma finirà sotto processo e saranno guai seri. Curiosità: lo sconto sul passato nasce dalla legittima richiesta di Pallotta, il quale, presa la Roma si è trovato nei guai per debiti accumulati dalla gestione Sensi-Unicredit.
Principali differenze tra nuovo e vecchio fair play finanziario. In sintesi, la nuova filosofia Uefa è: meno austerity, più investimenti. Il precedente regime, il “settlement agreement”, prevedeva la transazione; mentre il “voluntary agreement” è volontario. I club avranno facoltà di scelta: il volontario è preferibile soltanto se si pensa di poterlo rispettare. Ad esempio, l’Inter che è in regime di transazione fino al 2018, potrà chiedere il volontario solo nel 2019. In futuro poi dovranno passare 3 anni e non uno per un cambio di sistema. Intanto, il patron nerazzurro Thohir ha investito molto in questo calciomercato, rinviando però al prossimo anno gran parte dei pagamenti: nella speranza di trovare i soldi tra sponsor, merchandising, diritti tv e altro, ma soprattutto nella speranza di tornare presto in Champions League. Altrimenti andrà in default. Il discorso vale anche per Milan, Roma e altre “big” italiane. Meno austerity si, ma, anche molti più rischi di bancarotta per i club.
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