L’artrite reumatoide è una malattia che insorge tra i 30 ed i 50 anni e colpisce circa 400.000 persone. Ma in Italia solo il 40% di loro segue le terapie in modo corretto perché il Sistema Sanitario Nazionale supporta solo il 30% del costo della malattia corrispondente ai costi diretti, mentre il restante 70%, che rappresenta l’impatto dei costi indiretti, rimane a carico della collettività.
L’aderenza alla terapia è fondamentale in una patologia cronica con decorso invalidante, spesso non ben controllata, che costringe le persone all’assenza dal lavoro, finendo per gravare quasi totalmente sulle spalle delle famiglie in termini economici, sociali e psicologici.
Questo è stato il tema del webinar “L’artrite reumatoide in epoca Covid-19”, organizzato da MOTORE SANITÀ, ultimo di una serie di appuntamenti, nati con l’obiettivo di mettere a confronto sulle attuali buone pratiche organizzative e sui modelli di utilizzo dell’innovazione terapeutica, pazienti e operatori coinvolti nella diagnosi, gestione e cura delle malattie reumatiche, tracciando anche le aree critiche su cui occorre intervenire.
Annamaria Iagnocco, docente ordinaria di Reumatologia all’Università di Torino, ha spiegato: «Nell’era COVID-19 i pazienti affetti da artrite reumatoide sono andati incontro a molteplici difficoltà. Il secondo picco della pandemia, in corso in queste settimane, ci ha mostrato che il nostro globo si trova ancora in una condizione di grande fragilità, nella quale rientra anche la gestione delle malattie reumatiche. L’attenzione delle autorità sanitarie, concentrata giustamente sui pazienti affetti da COVID-19 e sulle misure di prevenzione della diffusione del contagio, non deve tuttavia tralasciare la garanzia di un alto livello di cura per i malati con malattie croniche. In particolare, nell’artrite reumatoide, al fine di prevenire l’evoluzione verso la disabilità, è necessaria una valutazione continuativa della patologia, sin dal suo esordio come pure nelle fasi successive».
«Abbiamo oggi a disposizione – ha proseguito la professoressa Iagnocco – farmaci che sono in grado di limitare la progressione della malattia e gli specialisti conoscono le strategie terapeutiche ottimali per la gestione del paziente affetto da tale patologia. Anche nella pandemia quindi la continuità assistenziale e la cura ottimale dei malati con artrite reumatoide deve essere garantita, mentre invece si sta assistendo oggi, in alcune realtà, ad una chiusura o ad una limitazione delle attività degli ambulatori e delle strutture specialistiche a danno dei pazienti».
Maurizio Rossini, professore ordinario di Reumatologia e direttore della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell’Università di Verona, ha sviluppato il tema spiegando che «i costi annui per i pazienti con artrite reumatoide in Italia sono stimati tra i 3,5 ed i 4 miliardi di euro. Lo scenario epidemiologico della patologia – sottolineato – è in forte e rapido cambiamento ed ancora di più in era covid l’organizzazione ospedale/territorio per la sua gestione deve cambiare. In particolare, relativamente all’artrite reumatoide, il sistema sanitario è sollecitato in maniera importante anche dal punto di vista sociale. L’organizzazione di una Rete Reumatologica – ha sottolineato il professor Rossini – può fornire risposte efficienti, soprattutto in era Covid-19, quando è necessaria una presa in carico territoriale efficiente e capillare. La diagnosi precoce è essenziale anche nel campo dell’artrice reumatoide perché il ritardo diagnostico è la prima causa di complicanze e di disabilità. Le visite in telemedicina sono un’opportunità ma non potranno sostituire le visite ambulatoriali se non per alcune attività di controllo e monitoraggio. Si dovrà perciò lavorare – ha sottolineato – ad un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) dedicato, che preveda la creazione di corsie preferenziali per i pazienti urgenti o con red flags di esordio o riattivazione di malattia. Sappiamo che la politica sulla assunzione di nuovo personale specializzato è sotto i riflettori per tutte le realtà regionali. La rete di specialisti dovrà operare in connessione con la medicina territoriale anche mediante il Teleconsulto. Fondamentale da questo punto di vista la formazione ed il coinvolgimento dei medici di medicina generale, anche per la gestione delle frequenti comorbilità, e la semplificazione, gestione online e “sburocratizzazione” dei piani terapeutici».
«Posti letto dedicati per pazienti con patologie reumatologiche complesse e gravi – ha proseguito Rossini – dovrebbero essere garantiti (cosa purtroppo non sempre accaduta durante la precedente ondata). Fondamentale anche l’interazione fra centri Hub, Spoke e Specialisti territoriali per ridurre le liste d’attesa. Sarebbe anche auspicabile una più equa e rapida accessibilità sul territorio ai farmaci, specie per quelli più pratici, evitando così lo spostamento ed il disagio dei pazienti. Bene il risparmio attraverso le terapie biosimilari, ma con le garanzie per i Pazienti di poter accedere alle migliori cure, anche innovative, se necessario. I decisori politici dovranno mantenere il dialogo con tutti gli interlocutori (prime fra tutte le Associazioni di malati reumatici) perché la realizzazione di una Rete Reumatologica efficiente possa migliorare l’offerta sanitaria e l’appropriatezza dei servizi offerti dal SSN».
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