di SERGIO SIMEONE* – La dichiarazione di Luigi Di Maio sullo scandalo dei deputati che hanno chiesto il bonus destinato a chi, titolare di partita Iva, aveva subito una diminuzione del reddito a causa del lock down, mi ha riconfermato nella decisione già presa da tempo di votare no al referendum sul taglio dei parlamentari. Che cosa ha dichiarato l’ex capo del M5s, oggi ministro degli Esteri? Dopo aver lanciato le prevedibili sanguinose invettive contro i reprobi ha concluso dicendo che ora ha più senso votare sì al referendum.
Che cosa significa questo collegamento tra il “peccato” di cinque persone e il taglio che riguarda il Parlamento composto da quasi mille persone? Intanto che si regredisce dal punto di vista etico e giuridico dalla responsabilità personale, grande conquista dell’etica e del diritto moderni, alla concezione arcaica della responsabilità collettiva. Quella in nome della quale sono stati commessi orrendi delitti contro interi popoli. Colpevoli sono dunque – secondo questa tesi – non solo i cinque deputati ma l’intero Parlamento, che va perciò punito mediante taglio.
C’è poi la presunzione, che non ha alcun fondamento logico, che diminuendo il numero dei parlamentari vengano automaticamente eliminati anche i disonesti. E perché mai? Anche se i parlamentari fossero ridotti a dieci membri, chi potrebbe garantire che tra loro non ci sia un disonesto? Per eliminare del tutto il problema occorrerebbe eliminare l’intero Parlamento. Conclusione paradossale, ma non troppo se si pensa che alcuni esponenti pentastellati motivarono il rifiuto delle Olimpiadi di Roma e poi quelle invernali perché c’era il pericolo che vi si infiltrassero speculatori.
La verità è che Di Maio in questo anno di governo Conte2 non ha impiegato, come sarebbe stato auspicabile, le sue energie a sostegno di una riforma elettorale collegata al “dimagrimento” del parlamento, ed ora, nel timore di un risultato deludente del referendum (non credo a una sconfitta se si pensa che il voto a favore del taglio in Parlamento ha raggiunto nei sondaggi la quasi unanimità), non gli resta che solleticare quello spirito anti-casta della gente che in passato ha fatto la fortuna del movimento. Di Maio, come Salvini, sa suonare un unico spartito: lui quello della sfiducia nelle istituzioni democratiche, rappresentate come la sentina di ogni vizio, l’altro quello dei migranti colpevoli di ogni problema italiano, dalla disoccupazione alla sicurezza e persino alla diffusione del coronavirus.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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