di NUCCIO FAVA – Durante la guerra fredda c’erano meno disastri e dolore di oggi? La domanda me la pone una giovane liceale, ferrata in storia moderna, durante un incontro sull’Europa in un istituto romano. I giovani sono interessati, vogliono sapere, conoscere davvero, e non amano la retorica e le astrazioni.
Entra in gioco anche la preoccupazione per la crisi sempre più grave della Libia che si estende e si fa più pericolosa dopo l’appoggio dell’Egitto al “signore di Tobruk” che avanza verso Tripoli senza accogliere in alcun modo l’invito ad una sosta almeno nei bombardamenti che falciano, senza possibilità di riparo, abitazioni e persone. Crescono le vittime, tanti i bambini e le donne costretti a lasciare le case nella di speranza di trovare posto su qualche gommone per raggiungere l’Europa, allarmata dal rischio non remoto di sbarchi di massa.
Il nostro vicepresidente e ministro dell’interno ribadisce con la solita arroganza la sua strategia dei “porti chiusi” e del respingimento verso i paesi d’origine. Conte e i pentastellati sembrano lavorare ad una difficile mediazione e ad una soluzione umanitaria. Di tutta evidenza il vuoto dell’Europa con il “sovranismo” in avanzata (anche se difficilmente sarà maggioritario nel futuro parlamento europeo). Del resto il voto in Finlandia, seppure per uno scarto minimo, gli ultranazionalisti sono stati sconfitti. Sopraggiunge l’allarme per il rogo di Notre Dame avvolta dalle fiamme . E si interrompe ogni discussione per guardare le immagini spaventose alla tv. Alcuni dei ragazzi scoppiano in lacrime, altri pensierosi ricordano l’ultima loro visita a Parigi con Notre Dame meta obbligata, simbolo della storia non solo della Francia ma dell’Europa e del mondo intero.
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