Le elezioni politiche si avvicinano e i partiti mischiano gli “appetiti” per i fondi europei con la guerra in Ucraina

di SERGIO SIMEONE* – Le elezioni politiche si avvicinano e il governo comincia a ballare. Responsabile di ciò è soprattutto la mancanza di senso dello Stato di molti politici, che appaiono più impegnati a tutelare interessi particolari di categorie che possono fruttare consensi elettorali che perseguire l’interesse collettivo.

E’ il caso del Pnrr. L’Europa concede un aiuto sostanzioso (200 miliardi) al nostro Paese perché possa essere avviato un processo di sviluppo e di superamento di squilibri territoriali e sociali, ma chiede, come pre-condizione, che siano fatte alcune riforme e tra queste, innanzitutto, quella del fisco e quella della concorrenza. Ma i partiti del centrodestra, che pure sono parte della maggioranza di governo, si oppongono ai disegni di legge che contengono queste riforme: a) nel  caso del fisco perché non vogliono un aggiornamento del catasto, in quanto temono (purtroppo ingiustamente) che da tale  aggiornamento possa nascere una più equa distribuzione del carico fiscale, che faccia pagare di più chi possiede immobili di maggior valore e faccia emergere immobili mai accatastati e quindi sconosciuti al fisco; b) nel  caso della legge sulla concorrenza perché vogliono sottrarre al libero mercato le concessioni degli stabilimenti balneari che avrebbe effetti positivi sui costi della balneazione, ma comporterebbe la perdita di rendite a favore delle imprese che già detengono le concessioni.

Insomma, pur di difendere i privilegi ingiustificati di alcune categorie, Salvini e Berlusconi, con il supporto della Meloni, rischiano di mandare a gambe all’aria il governo e di far perdere all’Italia un’occasione straordinaria ed irripetibile di far superare al nostro Paese arretratezze strutturali e squilibri territoriali vecchi di secoli.

Altra occasione che alimenta gli appetiti dei pescatori di voti, è la guerra in Ucraina. Da quando sono stati diffusi i sondaggi, che rivelano che la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi a Kiev, soprattutto le due forze politiche populiste che nel 2018 furono premiate dagli elettori (Lega e Movimento 5 stelle), si sono messe alla testa del partito dei “pacifisti”, definito “il partito del lasciateci in pace” da Vittorio Ferla sul Quotidiano del sud). Di qui il tentativo di intralciare l’azione di Draghi, il quale da una parte ha intrapreso importanti iniziative di pace (l’incontro con Biden con l’invito a questi ad imboccare la via della trattativa, il piano di pace presentato all’ONU da Di Maio, i tentativi di sbloccare l’esportazione del grano ucraino ed impedire che i Paesi più poveri  soffrano la fame), ma dall’altra è consapevole che se l’occidente unilateralmente cessasse di sostenere militarmente l’Ucraina, cioè la parte dei belligeranti più debole ed aggredita, Putin  certamente non rinuncerebbe “per cavalleria” ad una parte del suo armamento, ma anzi ne approfitterebbe per continuare con più efficacia la sua opera di devastazione e di morte fino alla resa del Paese invaso. E sa che se il dittatore russo riuscisse a trarre vantaggio dalla sua guerra non solo ne soffrirebbe l’Ucraina ma si creerebbe un serio precedente: la guerra tornerebbe ad essere “il mezzo per risolvere  le controversie internazionali”. Proprio ciò che vuole impedire l’art. 11 della nostra Costituzione, spesso citato a sproposito da costituzionalisti improvvisati.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato scuola, della Cgil

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