Di Maio come Lenin? Lenin scrive il suo libro più noto, “Stato e Rivoluzione”, a partire da una attenta analisi della pur breve vita della Comune di Parigi (10 marzo 1871-12 giugno 1871). Di Maio elabora la sua proposta politica a partire da una riflessione sulla breve vita della Repubblica partenopea. Ma c’è una non lieve differenza tra i due, perché Lenin guarda l’esperienza parigina mettendosi dal punto di vista degli insorti, Di Maio osserva gli avvenimenti napoletani mettendosi dal punto di vista non di Domenico Cirillo e dei giacobini , ma da quello di Ferdinando di Borbone e dei lazzari del cardinale Ruffo.
Ecco, penserà qualcuno, la solita calunnia per screditare i grillini: adesso vogliono farli passare per filoborbonici. Nessuna calunnia. Forse a qualcuno è sfuggito, ma i Cinquestelle hanno presentato nei consigli regionali di tutta l’Italia meridionale una mozione con la quale si propone di proclamare il 13 febbraio giornata della memoria. E sapete che cosa è successo in quel giorno (del 1860)? E’ caduta la fortezza di Gaeta nella quale erano asserragliati Franceschiello e le residue forze borboniche. Le vittime da ricordare sarebbero dunque, per i Cinquestelle, i soldati borbonici morti per impedire l’unità d’Italia, non i giacobini massacrati dalla plebaglia napoletana per aver tentato di portare in Italia i principi di libertà, fraternità ed uguaglianza della Rivoluzione francese.
Troverebbe così una spiegazione il favore con cui il mondo confindustriale (dichiarazione rassicurante di Boccia) ed il mondo finanziario (nessun aumento dello spread) hanno accolto l’esito elettorale? Boh! Sta di fatto che il grande capitale ha ormai vinto largamente sul lavoro (occupazione precaria e sottopagata, libertà di spostare gli insediamenti produttivi nei Paesi dove si pagano meno tasse ed il lavoro costa di meno). A questo punto il modello socialdemocratico deve essere apparso ai loro occhi un modello tanto costoso quanto inutile. Basta con queste esagerazioni per tenere buona la gente: welfare state, statuto dei lavoratori con quell’odioso articolo 18. Meglio adottare il modello di Ferdinando di Borbone delle tre effe, festa farina e forca. Alla prima effe ha già provveduto Berlusconi, restavano le altre due ed ecco provvidenziali Di Maio (col reddito di cittadinanza) e Salvini (diamo il diritto di sparare contro chiunque attenti non solo alla vita, ma anche alla proprietà di un cittadino).
Il fascino dei lazzari deve averlo avvertito anche Beppe Grillo. Quando a suo tempo ha detto ai giornalisti che volevano intervistarlo “vorrei mangiarvi per avere il piacere di vomitarvi”, io ho capito subito a chi si era ispirato. A quel plebeo, che nella Napoli occupata dalle truppe sanfediste andava mendicando un pezzo di pane, perché aveva catturato un giacobino e voleva mangiarlo accompagnandolo con un po’ di pane (Raffaele La Capria, L’armonia perduta). Ma Grillo, mi si obietterà, voleva vomitarlo, il giornalista. Perché nessuno ha pensato di passargli il pane.
N.B. – La mozione filo borbonica dei Cinquestelle è stata approvata dal Consiglio regionale pugliese con il sostegno dell’ineffabile presidente Michele Emiliano.
Commenta per primo