di ENNIO SIMEONE/
La nomina dei dirigenti dei 20 musei più importanti d’Italia importandone 7 dall’estero e reimportandone altri 4 tra gli italiani trasferitisi all’estero e suddividendoli in perfetta par condicio in 10 maschi e 10 femmine è una trovata che porta il timbro del ministro Franceschini ma l’impronta inconfondibile del capo del governo. Sono tre anni ormai che, prima da competitor nelle primarie del Pd (con la “rottamazione”), poi da presidente del Consiglio e segretario del partito (con una sempre più pasticciata velocità di decisioni e spregiudicata esecuzione delle medesime, contrabbandate per “riforme epocali”), Renzi si affida ad un’arma ad effetto: lo stupore.
Stordire gli avversari interni ed esterni, ma soprattutto il maggior numero di possibile di connazionali, con provvedimenti che destino sorpresa è, evidentemente, secondo il suo schema comunicativo, il mezzo migliore per raccogliere consensi e restare sulla cresta dell’onda, soprattutto quella televisiva. Che ne accoglie e rilancia l’immagine con lo stesso compiacimento con cui alcuni illustri commentatori di carta stampata gli tengono bordone. E quando costoro si accorgono del trucco è ormai troppo tardi per ricredersi: è difficile innestare la retromarcia sia per timore di essere colti in fallo o sia perché, intanto, il rottamatore se n’è inventata un’altra da dare in pasto alla loro labile attenzione.
D’altronde la parola stupore ha la stessa etimologia di stupido: il verbo stupere. Che ha un doppio significato: indica condizione di meraviglia, di sorpresa; ma anche di ottusità, di confusione mentale. Le nomine firmate da Franceschini si adattano sia a chi si sente appagato dal primo significato, sia a chi propende per il secondo. C’è però una terza reazione: quella di chi ritiene che il governo abbia preferito lo stupore al rischio di mortificare le intelligenze e le energie culturali di cui dispone questo paese. Ma a questo, purtroppo, cominciamo ad abituarci.
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