MALEDETTA INFODEMIA!

di ENNIO SIMEONE – C’è qualcosa di peggio e di più devastante della pandemia ad avvelenare oggi l’Italia. È l’infodemìa. L’enciclopedia Treccani ne dà questa lapidaria definizione: «Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili». Definizione teoricamente ineccepibile, ma ormai diventata inadeguata se applicata alla informazione fornita agli italiani sull’evoluzione dell’epidemia di covid-19, dagli inizi dell’anno fino ad oggi, da giornali, emittenti radiotelevisive e siti web (per non parlare dei cosiddetti “social”, che ormai sono diventati, salvo qualche rarissima eccezione, palestre di degenerazione della comunicazione). 

Siamo infatti oltre la disinformazione: siamo alla pervicace deformazione della realtà, piegata all’uso più spregiudicato di una calamità (di cui nessuno è ancora in grado di valutare a pieno le origini, la natura e, soprattutto, l’evoluzione) per trarne o per procurare, in taluni casi forse persino inconsapevolmente, meschini vantaggi politici. 

Infatti i palinsesti delle emittenti televisive, senza distinzioni, si sono affollati di talk show, che si susseguono e si accavallano in tutte le fasce orarie in collegamento con una affollata “compagnia di giro” composta non solo dagli stessi virologi, epidemiologi, anestesisti, ricercatori, primari (che si rincorrono da un canale all’altro  facendo del loro meglio per dare risposte credibili su una materia che ancora non conoscono) ma anche (e, purtroppo, soprattutto) con altre tre categorie di “graditi ospiti”: i politici, i giornalisti (meglio se targati come “giornalista-e-scrittore” con sottobraccio “l’ultimo suo libro”) e gli “opinionisti”. 

Questa carovana itinerante viene interrogata, tra un “andiamo in pubblicità” e un “tassativo” (spot con orario vincolante), da conduttori e, preferibilmente, conduttrici che fanno le domande e spesso si danno le risposte interrompendo l’interrogato dopo pochi istanti che ha aperto bocca per dimostrare di aver capito ciò che stanno per dire, meno che quando prestano il microfono ad urlatori a gettone, tipo Vittorio Sgarbi o Massimo Cacciari, irrefrenabili nel vomitare il loro disgusto, in genere contro il governo.

Ma questo è avanspettacolo da Salone Margherita, che serve a spettacolarizzare la parte “informativa” fatta di interviste riservate esclusivamente a quanti hanno da lamentarsi – a torto o a ragione (che spesso non si riesce a distinguere) – di un danno subìto o di un sussidio promesso o non ancora arrivato, di una cassa integrazione che tarda ad arrivare, che nella mente del telespettatore cancella le cinquantamila che sono state regolarmente pagate.

Penosi anche i telegiornali, con intervistatori che, senza battere ciglio, incassano sui loro microfoni dichiarazioni come quelle della Meloni o di Salvini che si dolgono di non essere interpellati dal capo del governo su come fronteggiare la pandemia, senza riproporre istintivamente una banale domanda successiva, come, per esempio: «Ma non vi confrontate già in Parlamento?», oppure: «Ma se definite incompetenti i membri del governo perché non dite loro che cosa dovrebbero fare?».

A loro volta i giornali stampati, per quanto la loro diffusione si sia purtroppo ridotta rispetto alle altre forme di comunicazione, non solo non riescono a bilanciare la disinformazione televisiva ma addirittura finiscono per rafforzarla grazie alle cosiddette “rassegne stampa” che vanno in onda nella notte sulle varie emittenti tv, perché consistono nella esposizione, accompagnata da una frettolosa lettura, dei titoli di prima pagina che sono spesso uno squallido campionario di messaggi denigratori destinati a distorcere la realtà.  Come quando, alcuni giorni fa, la semplice raccomandazione del presidente del Consiglio ad evitare assembramenti anche negli incontri domestici venne tradotta dal “Giornale”, diretto dall’onnipresente televisivo Sallusti, con il titolo “Vengono a spiarci in casa”. Oltre che un falso, una vergogna. Superata solo dal titolo di un editoriale di Nicola Porro (che rimase a lungo lontano dal video di Mediaset perché infettato dal covid): “Omicidio di Stato del ceto medio con l’alibi del Covid”. Oltre che una vergogna, un falso.

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