di ROMANO LUSI –
Barack Obama sta consumando davvero male le sue ultime settimane di permanenza alla Casa Bianca, che si concluderà il 20 gennaio, quando vi entrerà Donald Trump. Non contento di avere cavalcato l’assurda accusa alla Russia di aver falsato il risultato delle elezioni presidenziali americane con azioni di hackeraggio a favore di Trump contro Hillary Clinton, ieri addirittura, con una decisione senza precedenti, ha espulso come persone non grate 35 funzionari russi operanti negli Usa, accusandoli di aver ”agito in modo incoerente con il loro status diplomatico o consolare” e ha disposto sanzioni direttamente contro le due principali intelligence russe, il Gru e l’Fsb, che avrebbero – secondo Obama – attuato le cyber operazioni per far vincere Trump.
Il ministro degli esteri russo, Lavrov, aveva proposto a Putin, per ritorsione (come si usa in questi casi), di espellere 35 diplomatici americani dalla Russia. Invece Putin ha preferito rispondere con un gesto imbarazzante per Obama: gli ha mandato gli auguri di buon anno (come ha fatto, ovviamente, anche con Trump), e, spingendosi oltre, ha invitato al Cremlino i figli dei diplomatici americani a Mosca. Quest’ultimo gesto in risposta anche a un’altra accusa, seccamente smentita, che gli era stata rivolta da Washington: di voler chiudere la scuola angloamericana di Mosca.
Insomma Obama esce con le ossa rotte, sul piano dell’immagine internazionale, da questa sfida a Putin, sfida di cui non si spiega il vero scopo e che il presidente degli Stati Uniti si poteva risparmiare a tre settimane dalla definitiva uscita dalla Casa Bianca.
Tra l’altro il pretesto a cui ha fatto ricorso per riaprire una pagina di guerra fredda che ha il sapore di un deprecabile passato è davvero inconsistente. Infatti è appena il caso di notare che fare hackeraggio nelle elezioni Usa fino a capovolgerne il risultato è quasi impossibile, data la complessità del sistema elettorale in vigore per la scelta del presidente: si tratta di una elezione di secondo grado, in cui ciascuno dei 50 stati esprime un certo numero di “grandi elettori”, che vengono attribuiti tutti al candidato che vince, sia pure per un solo voto, in quello stato; sono poi i “grandi elettori” ad eleggere il presidente. E può accadere, come è accaduto altre volte e anche questa volta, che il candidato che conquista il maggior numero di stati e il maggior numero di “grandi elettori” ottenga su scala nazionale meno voti dell’antagonista. Infatti Hillary Clinton ha ottenuto su scala nazionale circa due milioni e mezzo di voti in più di Trump, ma questi ha conquistato più stati e di conseguenza 26 “grandi elettori” in più della rivale.
Commenta per primo