di RAFFAELE CICCARELLI*/ Scrivere un ricordo di Diego Armando Maradona il giorno del suo sessantesimo compleanno diventa impresa estremamente ardua e difficile. Difficoltà dovute alla fama, alla leggenda, del personaggio, che ha fatto sì che di lui, ormai, sia stato scritto tutto e il suo contrario. Da sempre si è scisso il personaggio in due, la parte che scendeva in campo “a miracol mostrar”, quella della sua vita privata, sempre sull’orlo dell’abisso. Maradona può essere forse l’unico, come unico è ed è stato in tante cose, a poter dire di essere contemporaneamente inquilino del Paradiso e dell’Inferno, i due luoghi dove si divide la sua anima, e il suo personaggio.
Dieguito ha unito in sé prosa e poesia, raggiungendo con esse il cuore di milioni di tifosi napoletani, ma suscitando anche l’ammirazione incondizionata in tutti coloro che amano lo sport del pallone. Maradona è l’unico che vivendo il naturale scorrere degli anni, come tutti gli esseri umani, ha cristallizzato i momenti indelebili in cui scendeva in campo, in una sorta di bolla, di periodo temporale a parte, in cui è stato veramente D10s. Quasi ogni singolo frammento di quella che è stata la sua vita sul campo rappresenta un ricordo di quello che era capace di fare, anche il semplice riscaldamento pre gara poteva diventare uno spettacolo per gli occhi, anche una partita amichevole su uno spelacchiato campo di periferia poteva diventare un evento.
Non contava la tavolozza, per Diego, non il materiale su cui doveva scolpire, contava il suo magico sinistro, ora pennello, ora scalpello. Come gli scrittori, i poeti, usano la penna, egli usava quel piede, foglio bianco il campo di calcio, su cui non ha mai avuto il blocco dello scrittore. A chi scrive piace ricordare questo, il giocatore, lasciando il giudizio sull’uomo a chi di competenza, tralasciando anche il tanto che egli ha fatto in quanto personaggio non pubblico, ma planetario. Non mi pongo nemmeno il problema se l’uomo esiste per il calciatore che è stato, o viceversa: per me conta, ha sempre contato, il campo e quello lo ha consegnato alla leggenda. Il suo mondo, il suo universo si sono fermati lì.
Il confronto con un altro grande del calcio di tutti i tempi. Spesso si è creato il confronto con Pelé, ma O’ Rey ha attraversato un’epoca calcistica dove si vedeva poco, stava ancora avvenendo il passaggio dal racconto scritto alla visione, D10s ne ha cavalcato gli inizi, costruendo entrambi la leggenda, a modo loro. Angelo e diavolo hanno sempre convissuto in lui, avendo sempre il campo come riferimento è lì che ritroviamo questa sua ambivalenza, in una data, un luogo e una partita precisi: 22 giugno 1986, Stadio “Azteca” di Città del Messico, mondiali di calcio, Argentina-Inghilterra. L’unica partita al mondo decisa da un giocatore che ha saputo, nei minuti dei due gol, cinquantuno e cinquantacinque, essere diavolo con la Mano de D10s e angelo con il Gol do siglo. Questo il nostro augurio e il nostro ricordo, per un mito in cui il tempo è destinato a non scorrere mai. Suerte, D10s!
*Storico dello Sport
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