Qualche sera fa ero a cena con Santo Gioffrè, che è medico, scrittore e per qualche mese (“lasceró presto, sto facendo il diavolo a quattro, spero che nel giro di qualche settimana ne saró fuori”) commissario dell’Asp di Reggio Calabria. Parla di questa esperienza come di un incubo. Perché l’Azienda Sanitaria di Reggio è la madre di tutti gli sprechi della sanitá calabrese e, forse, italiana. Lui ormai fa la spola tra l’ufficio e la Procura della Repubblica, ne dà notizia ai media che registrano e pubblicano. Per esempio, si è trovato tra le mani una pratica sulla quale i fumogeni attivati per nascondere il fattaccio non gli hanno impedito di pervenire a qualche veritá. Tanto per dire: per lo stesso appalto di sei milioni di euro le fatture sono state esibite due volte, insomma sono diventate un miracolo dei pani e dei pesci di un Gesù risorto appositamente duemila anni dopo. Gioffrè, con un’indignazione crescente, stava raccontando questa ed altre storielle quando è stato interrotto da un commensale, autorevole e informato: “Due volte? A me hanno spiegato che generalmente riescono a far pagare tre volte lo stesso appalto”.
Ci sono duecento milioni, dice il commissario, di cui non si riesce a trovare la certificazione di spesa. Non ci sono carte, dunque, e probabilmente non si troveranno mai. Magna pars del buco del bilancio della sanitá calabrese è in queste cifre ed è il risultato di anni, decenni, di gestione che è riduttivo definire allegra. Sono andato indietro con la memoria.
Nel 2006, quando andai in Calabria, assessore regionale alla sanitá era Doris Lo Moro, magistrato ed ex sindaco di Lamezia, il padre ucciso senza che si sia mai scoperto perchè, oggi senatore del Pd. Fu al centro di feroci polemiche perché denunció che esistevano masse enormi di denaro speso e non coperto da nessuna carta, generosamente definiti debiti fuori bilancio. Ci fu quasi una sollevazione contro di lei da parte di un fronte variamente articolato, molto radicato se non guidato dal suo stesso partito. Agazio Loiero, che era il presidente della Regione e che evidentemente l’aveva scelta per buone ragioni, non resse e la sostituí. Fu una ferita aperta su cui tutti, credo anche la Lo Moro, preferirono stendere una coltre di silenzio. Ora quella ferita, mai guarita, per altre vie ritorna, destinata, presumo, alla stessa sorte. Ne parlo non tanto per ribadire un giudizio liquidatorio sugli apparati dirigenti della pubblica amministrazione, soprattutto quelli di nomina politica specialmente nella sanitá, e sullo scadente ceto politico, bensí per chiedermi come mai non si sia svolta in tutti questi anni un’inchiesta che accertasse l’effettivo stato delle cose. Una situazione paradossale e purtroppo ritenuta naturale, che a me ricorda quei paesi nei quali non c’è il catasto o qualcuno l’ha bruciato: tutti proprietari nessun proprietario, tutti responsabili nessun responsabile, tutti ladri nessun ladro.
A Gioffrè so che viene consigliata prudenza perchè sta toccando i fili della corrente, io mi sentirei di dargli il suggerimento di realizzare presto il suo proposito di chiamarsi fuori, ma poi penso che qualcuno deve pur fare chiarezza e, se possibile, costringere i responsabili a rispondere e pagare. Questo sarebbe normale in un paese normale. Ma questo è un paese normale?
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