L’ex segretario di Stato degli Stati Uniti e capo degli Stati Maggiori Riuniti , il generale Colin Powell, che fu un protagonista della eliminazione di Saddam Hussein, è morto per le complicazioni sopraggiunte all’infezione del covid. Aveva 84 anni. La notizia è stata data dalla famiglia. Powell era stato nominato segretario di Stato da George Bush nel 2001, diventando il primo capo della diplomazia americana afroamericano.
“Questo fatto avrà un paragrafo consistente nel mio necrologio“: così Colin Powell aveva scritto nella sua autobiografia riferendosi alla “macchia” del discorso tenuto all’Onu con in mano la fialetta sulle armi biologiche di Saddam Hussein (in realtà inesistenti) usata per giustificare la caccia e l’uccisione del terrorista. “Sono arrabbiato con me stesso per non aver intuito che c’era un problema, il mio istinto non ha funzionato“, scriveva nel 2012 Powell riferendosi al fatto che in seguito si appurò che le informazioni fornite dall’intelligence Usa sulle armi irachene erano completamente sbagliate.
“Non è stato sicuramente il mio primo errore, ma è stato sicuramente il più grande, quello con il più ampio impatto“, ammetteva, concludendo poi con la previsione sul suo necrologio. Ma Powell è stato soprattutto, come ha ricordato oggi George Bush, “un grande servitore dello Stato, a cominciare dal servizio come soldato in Vietnam“.
Lasciata l’amministrazione Bush, Powell andò a lavorare con una società di venture capital, Kleiner Perkins. Pur avendo servito sempre in amministrazioni repubblicane, il generale negli ultimi anni ha duramente criticato la leadership del partito, sostenendo candidati democratici, a cominciare da Barack Obama per “la capacità di ispirare” e “la natura inclusiva della campagna” del primo presidente americano. E anche nel 2016, Powell si è schierato con i democratici e con Hillary Clinton contro Donald Trump, definito “una vergogna nazionale e un paria internazionale”. Ed anche nel 2020 il suo sostegno è andato a Joe Biden, partecipando anche alla convention democratica che l’ha incoronato candidato. Fino al durissimo strappo con il suo ormai ex partito dopo l’assalto al Congresso da parte dei sostenitori di Trump il 6 gennaio scorso.
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