Naufraghi a pagamento e “accoglienti” a buon mercato

di ENNIO SIMEONE – Dalla nave «Diciotti» stanno arrivando notizie che confermano, ammesso che ve ne fosse ancora bisogno, due o tre verità ben note, ma che nella concitazione delle croniste  e dei cronisti televisivi e nella manipolazione della gran parte dei giornali, vengono taciute o deformate a beneficio delle tesi preconcette di coloro che si sono iscritti nelle schiere dei «buonisti» dell’accoglienza in contrapposizione alla perfidia delle truppe dei «cattivisti» sostenitori della rigorosa regolamentazione dei flussi migratori.

Le notizie sono essenzialmente due. La prima è che, sfacciatamente, a bordo della nave della Guardia costiera italiana avevano trovato posto, sotto le mentite spoglie di rifugiati, tre egiziani e un bengalese che in realtà sono gli scafisti che i migranti avevano pagato per farsi trasportare appena fuori dalle acque territoriali libiche su un natante precario in modo da trasformarsi consapevolmente  in «naufraghi» da salvare.

La seconda notizia è che molti di loro avevano sul corpo i segni di gravi percosse e maltrattamenti mentre le donne, sottoposte a visita medica, presentavano le tracce evidenti delle violenze sessuali e degli stupri subiti, non nel loro paese d’origine, ma in Libia, magari ad opera anche degli stessi scafisti.

E allora bisogna chiedersi (e chiedere agli aspiranti migranti prima che diventino migranti effettivi): quale salvezza cercano o quale miglioramento della loro condizione di vita merita quel terribile prezzo che sono costretti a pagare, e che comprende anche il rischio di perdere la vita?

E i generosi sostenitori dell’«accoglienza» quale ricompensa credono di assicurare a questi sventurati in cambio di quel prezzo? Un giaciglio in una baracca della Puglia o della Piana di Gioia Tauro per andare a raccogliere pomodori o arance a 2 o 3 euro l’ora? O un posto davanti a un negozio di generi alimentari a fare accattonaggio?

Ma è difficile che se lo chiedano. Perché agli apostoli dell’«accoglienza» in realtà non interessa. Perché l’unico prezzo che pagano loro è una maglietta rossa da indossare giusto il tempo di farsi un selfie da condividere con gli amici via whattsapp e di farsi inquadrare dalla telecamera di una tv. Ma non sarebbe meglio se queste energie venissero impiegate per una grande, massiccia campagna di informazione in grado di far conoscere ai popoli africani la verità sulla sorte che attende i migranti in Italia e in Europa?

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