Il rapporto annuale dell’Istat, presentato oggi, fotografa un quadro preoccupante del nostro paese, non illuminato neppure da un pallido barlume di ripresa economica. Quelli che allarmano di più sono i dati che si riferiscono ai giovani e l’occupazione e la stagnazione dello sviluppo demografico, mentre il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stagnazione dei livelli occupazionali, nonostante gli sgravi contributivi. E così l’incidenza del lavoro standard sul totale degli occupati è scesa al 73,4% nel 2015 dal 77% del 2008 con 1,3 milioni di occupati in meno.
Ma c’è di più e di peggio: le famiglie che per vivere non possono contare su un reddito da lavoro sicuro sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro. La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro. L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.
Dal 2003 al 2014 i nuovi pensionati con oltre 40 anni di contributi sono quadruplicati, passando dal 7,6% al 28,8%, cioè oltre uno su quattro. L’incidenza di quelli che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9% al 37,5% e quella di chi ha versato contributi per un periodo di 36-40 anni passa dal 37,6% al 33,7%. I nuovi pensionati del 2014 ricevono prestazioni più elevate di quelli del 2003 non solo per le carriere più lunghe e regolari, ma anche perché “il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo è ancora al di là dal dispiegare effetti diffusi”. Nello stesso periodo 2003-2014, l’età di pensionamento si è progressivamente innalzata, salendo in media da 62,8 anni a 63,5. L’età mediana è passata da 60 a 62 anni.
Per i giovani un lavoro meno qualificato del titolo di studio. – Oltre un giovane su tre tra i 15 e i 34 anni è “sovraistruito”, troppo qualificato per il lavoro che svolge. La quota è 3 volte superiore a quella degli adulti (13%). Tra i giovani inoltre è più diffuso il part time, soprattutto involontario (77,5% dei part timer giovani, contro il 57,2% degli adulti), “ad indicare un’ampia disponibilità di lavoro in termini di orario che rimane insoddisfatta. Inoltre anche il lavoro temporaneo – sottolinea l’Istat – è diffuso soprattutto tra i giovani: ha un lavoro a termine un giovane su 4 contro il 4,2% di chi ha 55-64 anni”. Capita quindi che le professioni più frequenti nell’approccio al mercato del lavoro siano quelle di commesso, cameriere, barista, addetti personali, cuoco, parrucchiere ed estetista. A tre anni dalla laurea solo il 53,2% dei laureati ha trovato un’occupazione ottimale, con un contratto standard, una durata medio-lunga e altamente qualificata.
Le nuove generazioni di anziani sono diverse da quelle del secolo scorso ma anche dalle generazioni di cinquant’anni fa. L’aumento dei livelli di istruzione e di benessere economico, stili di vita via via più salutari, prevenzione e progressi in campo medico hanno migliorato le condizioni di vita della popolazione anziana, con guadagni consistenti non solo nella vita media, ma anche nella qualità della sopravvivenza. La generazione dei baby boomer, cioè coloro che sono nati dal 1946 al 1965, arrivano alla soglia dell’età anziana in condizioni di salute decisamente migliori rispetto alle precedenti, con quote più basse sia di persone affette da limitazioni funzionali sia di chi dichiara di stare male. Lo star bene di salute, e ancor più gli elevati tassi d’istruzione delle generazioni che man mano passano nella fase anziana della vita, favoriscono l’invecchiamento attivo, cioè non solo la capacità di essere fisicamente attivi o di partecipare alla forza lavoro, ma anche di partecipare alla vita sociale, economica, culturale e civile. Tra le numerose attività degli anziani in Italia, non bisogna dimenticare quella di nonno. In media, rileva l’Istat, si diventa nonni a 54,8 anni. Anche se non si vive più sotto lo stesso tetto, i rapporti tra nonni e nipoti rimangono ben saldi nel tempo. Cresce anzi il ruolo attivo dei nonni: l’affidamento dei nipoti fino a 13 anni li coinvolge nell’86,9% dei casi.
La popolazione italiana diminuisce e invecchia. Al 1 gennaio 2016 la stima è di 60,7 milioni di residenti(-139 mila sull’anno precedente) mentre gli over 64 sono 161,1 per ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Il nostro paese è tra i più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania.
Primi matrimoni sempre più tardi, 31 anni per le donne – Aumenta l’età di chi decide per la prima volta di convolare a nozze: lo conferma l’Istat con il suo Rapporto Annuale 2016, secondo il quale la media del primo matrimonio delle donne è stata, nel 2014, di 30 anni e 7 mesi. Inoltre la famiglia tradizionale – composta cioè dalla coppia coniugata con due figli – non è più il modello dominante, visto che rappresenta meno di un terzo dei nuclei familiari (33%). Allo stesso modo le nuove forme di famiglie sono più che raddoppiate: quelle unipersonali di giovani e adulti non vedovi rappresentano ormai l’8% della popolazione, mentre le libere unioni sono più di 1 milione. In più della metà dei casi si tratta di convivenze – certifica l’istituto di statistica – tra partner celibi e nubili. Una novità è invece quella delle famiglie ricostituite, che ammonterebbero a più di 1 milione.
Minori in sovrappeso. Un ultimo dato da segnalare sulle caratteristiche demografiche: in Italia l’eccesso di peso tra gli adulti è meno diffuso rispetto agli altri paesi europei, tuttavia l’andamento è crescente, soprattutto tra i maschi (da 51,2% nel 2001 a 54,8% nel 2015). Lo studio evidenzia come la diffusione del sovrappeso tra bambini e adolescenti è tra i più alti in Europa e di considerevole interesse per le ricadute sulla salute pubblica dei prossimi decenni.
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