Vittoria (scontata, ma con diversi comportamenti dell’elettorato) del sì ai referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto. Un risultato che fa esultare la Lega Nord, nonostante i dati evidenzino una netta affermazione (votanti al 60%) nella regione guidata da Luca Zaia rispetto alla Lombardia (votanti al 39%) presieduta da Roberto Maroni, e da sempre ‘cuore’ del Carroccio. L’affermazione dei sì rinsalda anche l’asse con Forza Italia e rafforza l’idea di Silvio Berlusconi che un centrodestra unito possa avere chance di vittoria alle prossime elezioni politiche. Un percorso però da costruire vista la contrarietà di Giorgia Meloni alla consultazione popolare appena conclusa. Esulta anche il Movimento Cinque Stelle, da sempre sostenitore della democrazia diretta. Sul piede di guerra invece il Partito Democratico. In Veneto infatti i Dem invitano Zaia a ricordare che il risultato è frutto anche del loro impegno, mentre in Lombardia il Pd evidenzia la scarsa affluenza.
Chi si chiama ovviamente fuori dalla polemiche è il governo, che, per bocca del sottosegretario agli Affari regionali Gian Claudio Bressa, annuncia di essere “pronto ad aprire una trattativa per definire le condizioni e le forme di maggiore autonomia”. In attesa di capire il timing delle due regioni (Zaia ha convocato la riunione della giunta per stamattina), la vittoria del sì ha un evidente significato politico. Chi ne può beneficiare è sicuramente Matteo Salvini: “5 milioni di persone chiedono il cambiamento, alla faccia di Renzi che invitava a stare a casa”, esulta.
Il leader della Lega, partito che ha fatto dell’autonomia uno dei suoi cavalli di battaglia, non a caso parla dunque di “occasione unica”. Ma in casa del Carroccio la vittoria del sì riporta sotto i riflettori Luca Zaia, che, forte del successo nella sua regione, si ripropone come uno dei possibili leader per la guida del centrodestra: “Non esiste il partito dell’autonomia, ma dei veneti che si esprimo su questo concetto”, ci tiene a precisare lo stesso Zaia. Al di là delle critiche, anche Roberto Maroni si definisce “pienamente soddisfatto per il risultato che arriva al 40% dell’elettorato”, avendo dichiarato alla vigilia che avrebbe considerato un successo già il 34% di affluenza alle urne.
In attesa che il Carroccio faccia i conti con la competizione interna, Silvio Berlusconi incassa il ritrovato asse con la Lega e si prepara al prossimo appuntamento e cioè le elezioni siciliane, altro snodo fondamentale prima delle politiche. Anche gli azzurri, come dice Renato Brunetta, esprimono “grande soddisfazione per il risultato”. Critico invece il partito di Giorgia Meloni. La leader di Fdi nel corso delle settimane passate non ha mancato occasione per prendere le distanze dalla consultazione popolare e dagli alleati: “In una nazione – ribadisce – le riforme costituzionali si fanno insieme e non a pezzi per l’interesse di tutti e non per assecondare l’interesse particolare”.
In entrambe le regioni i cittadini sono stati chiamati a esprimersi sul cosiddetto “regionalismo differenziato“, ossia la possibilità, per le Regioni a statuto ordinario di vedersi attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (come recita l’Articolo 116 della Costituzione) in alcune materie indicate nel successivo Articolo 117.
Ricordiamo che votare Sì significava chiedere la possibilità che le Regioni chiedano di intraprendere il percorso istituzionale per ottenere maggiori competenze dal Governo; votare No è contrario all’iniziativa. L’astensione, invece, oltre ad indifferenza per il problema può essere interpretato anche come un rifiuto verso la richiesta di maggiore autonomia. Per la validità del referendum in Lombardia non era previsto un quorum, ossia un numero minimo di votanti per la sua validità, mentre in Veneto era necessario raggiungere il 50%+1 dei votanti.
In Lombardia il quesito era: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Più stringata la domanda in Veneto: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.
Un’altra differenza tra le due Regioni è stata il sistema di voto: elettronico in Lombardia (è la prima volta in Italia), tradizionale con scheda di carta e matita in Veneto. Gli elettori lombardi hanno trovato nella cabina una “voting machine“, un dispositivo simile a un tablet che sullo schermo touch screen riportava il testo integrale del quesito referendario.
Ricordiamo inoltre che questi referendum non sono vincolanti. Con la vittoria del Sì, le Regioni possono chiedere al governo centrale di avviare una trattativa per ottenere maggiori competenze nelle venti materie concorrenti (tra queste spiccano il coordinamento della finanza pubblica, lavoro, energia, infrastrutture e protezione civile) e in tre esclusive dello Stato: giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente e dei beni culturali. L’intesa tra lo Stato e la Regione interessata dovrà poi concretizzarsi in una proposta di legge che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere.
A margine dell’evento c’è una polemica sulla spesa per questi due referendum. Il ministero dell’Interno ha chiesto che le due regioni si accollino le spese per il servizio di ordine pubblico cui lo Stato deve provvedere. Coglie l’occasione Salvini per aizzare la protesta: “E’ una follia- – sostiene far pagare i cittadini per esprimere la loro volontà. E’ un atto di arroganza imbarazzante, da parte del governo centrale. Visto “che ogni anno dalla Lombardia partono verso lo Stato centrale 50 miliardi, chiedere 3 milioni sa tanto di presa in giro”. Come se, quando paga lo Stato, non fossero sempre i cittadini a pagare. Comunque Salvini ha poi precisato che con il referendum “non vogliamo uscire da niente e da nessuno”, cioè la consultazione non ha obiettivi separatisti (come quella della Catalogna). Nella foto i presidenti del Veneto (Zaia) e della Lombardia (Maroni).
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