di RAFFAELLA FANELLI/ Dopo 40 anni, l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza rivela che i due giornalisti italiani scomparsi in Libano il 2 settembre del 1980, furono uccisi nel porto di Acquamarina e i loro corpi buttati in mare. “Graziella De Palo e Italo Toni avevano scoperto un traffico d’armi al porto di Acquamarina, in Libano. Un traffico gestito dal gruppo di Gemayel. Dalla Bekaa usciva droga ed entravano armi. I due giornalisti lo avevano scoperto e per questo furono uccisi”. La verità di Francesco Pazienza, ex faccendiere ed ex agente segreto italiano, arriva per caso, durante una mia telefonata sulla latitanza dell’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa (nella foto in home page: Graziella De Palo e Italo Toni). “Era il 1980 e vivevo a Parigi. Ero già collaboratore del Sismi – ci racconta Pazienza – e Giuseppe Pizza mi invitò in Calabria. All’epoca lui era amico dei De Stefano e di Domenico Araniti”.
Araniti e De Stefano, due temute famiglie della ‘ndrangheta calabrese. “Domenico Araniti partecipò a una cena organizzata per Pino Pizza”. E fra una chiacchiera e l’altra sull’ex sottosegretario Giuseppe Pizza e Matacena, sull’ex ministro e attuale sindaco di Imperia Claudio Scajola, sugli interessi delle aziende italiane in Medioriente e su quanto bella è Dubai, sono arrivate le sconvolgenti dichiarazioni di Pazienza sulla fine di Italo Toni e Graziella De Palo, scomparsi in Libano il 2 settembre del 1980, un mese dopo la strage di Bologna. “Mi mandarono in Libano per capire cosa fosse successo ai due giornalisti italiani, e c’era già Stefano Giovannone che stava studiando e vedendo la questione. Era un momento in cui non si poteva dire la verità, l’Italia era stata tenuta fuori dal terrorismo mediorientale per accordi che dovevano restare segreti”.
Indicibili accordi tra la nostra Repubblica e il terrorismo delle frange più sanguinarie dell’Olp. “Non è solo questo che si voleva nascondere”, dichiara Giancarlo De Palo, il fratello di Graziella. “Ancora oggi nessuno ha il coraggio di ammettere che parte delle armi esportate in Medioriente ritornavano in Italia per vie traverse ad armare le mani dei brigatisti rossi”. Una notizia che invece conferma Francesco Pazienza: “A loro bastavano poche armi, qualche pistola. Nel porto di Acquamarina arrivavano carichi importanti che andavano altrove”. A chi? “Anche al FPLP il cui leader era il medico George Habbash”.
Nel febbraio del 1986 George Habbash fu prosciolto per insufficienza di prove dall’accusa di sequestro di persona e duplice omicidio, non sarebbe stato lui a ordinare la morte dei due giornalisti. Lei cosa scoprì durante la sua missione in Libano? “Avevo l’obbligo di riferire solo al capo del Sismi e al mio rientro informai Giuseppe Santovito che i due giornalisti italiani erano stati eliminati e i loro corpi buttati in mare. Che George Habbash sia stato prosciolto non ne esclude la responsabilità”. Le Brigate Rosse avevano rapporti con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina? “Certo che avevano rapporti”. Lei ha mai visto brigatisti italiani addestrarsi in campi palestinesi? “C’erano dei campi di addestramento in Siria e in Libano, c’era voce di italiani visti in quei campi. Ma non ho prove per dirlo”.
L’ordine di uccidere i due giornalisti potrebbe essere partito dall’Italia? “Tutto è possibile. Mi mandarono in Libano per capire che fine avessero fatto quei due ragazzi, non dovevo sapere altro“. L’inchiesta accertò che il 24 agosto del 1980 Graziella e Italo passarono in macchina la frontiera tra Siria e Libano, arrivando lo stesso giorno a Beirut. Accertò anche che ottennero un interprete e una stanza all’hotel Triumph, uno dei due alberghi nei quali l’Olp era solita accogliere i suoi ospiti (nella foto a sinistra: Francesco Pazienza). “Mia figlia – ricorda Renata Capotorti – prima della partenza si era recata più volte nella sede romana dell’Olp, che nel 1980 si trovava in via Nomentana, a pochi metri da casa nostra. Partì sotto la protezione di Al Fatah, la componente dell’Olp facente capo a Yasser Arafat. Il primo settembre del 1980, un giorno prima di sparire per sempre, si recò insieme a Italo Toni all’ambasciata italiana chiedendo la tutela dei nostri diplomatici, forse perché aveva capito che non poteva più fidarsi dei palestinesi”.
A Renata Capotorti e a Giancarlo De Palo riportiamo le dichiarazioni di Francesco Pazienza. “Il segreto di Stato sulla sorte di mia figlia e del suo compagno fu chiesto dal colonnello Stefano Giovannone e fu ratificato dal Presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi, il 28 agosto del 1984. Per tanto tempo c’è stato un silenzio assoluto sulla sorte di Graziella, ora questo. E lo Stato lo sapeva”. Pazienza si dice certo della fine dei due giornalisti: “Ho consegnato una relazione sulla vicenda a Giuseppe Santovito. Avrebbe dovuto informare i familiari dei Graziella De Palo e Italo Toni”.
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