Vi abbiamo raccontato ieri di un sogno. Quello di una scomposizione e ricomposizione del neoeletto Parlamento in due soli gruppi: uno di destra e l’altro di sinistra. Il sogno, ovviamente, partiva da un presupposto immaginario: che ogni parlamentare compisse una scelta di campo secondo coscienza. A cominciare dai deputati e dai senatori dei Cinque stelle e dal loro capo Luigi Di Maio. Il quale, nella smania di mettere piede a Palazzo Chigi, continua a guardare a destra e a manca perché tanto “per me pari sono”.
Dichiararsi orgogliosamente a ogni piè sospinto “né di destra né di sinistra”, è una cosa fuori dal mondo. Uno slogan che – come abbiamo già avuto modo di dire – ci riporta agli anni bui del “né con lo Stato né con le Br” (fatte, ovviamente, le debite proporzioni). Uno slogan che non può appartenere ad alcun essere raziocinante. Figuriamoci a un politico. A una persona, cioè, alla quale il voto popolare ha affidato l’onore e l’onere di rappresentare (e realizzare concretamente) le sue speranze e i suoi desideri. Che, volenti o nolenti, sono speranze e desideri per una politica di destra o di sinistra. O preferite chiamarla progressista o conservatrice? Oppure liberista o socialista? Chiamatela un po’ come vi pare, ma restano comunque due politiche alternative.
Può certo accadere che sulle “cose da fare”, su un determinato argomento o in un determinato momento storico, possano anche avvicinarsi (i più anziani ricorderanno le famose “convergenze parallele” di Aldo Moro), ma sulla filosofia di fondo sono e resteranno sempre due politiche ben distinte. Ecco perché.
La sinistra è quella che, dati Istat alla mano, riconosce che il Jobs Act è stato un fallimento, facendo sì che solo uno su dieci dei nuovi assunti sia a tempo indeterminato, senza la minima speranza di programmare il futuro; la sinistra è quella che se ha un euro da spendere non lo dà alle banche, magari “amiche”, ma ai disgraziati che non arrivano a fine mese (o, almeno, fa metà per uno); la sinistra è quella che difende i diritti di chi lavora e cerca di aiutare chi dà lavoro, ben cosciente che senza impresa non c’è domani; la sinistra è quella che non demonizza la parola ricchezza ma lavora per impedire che i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri e che il dieci per cento degli italiani abbiano l’ottanta e più per cento della ricchezza nazionale; la sinistra è quella che non concede elemosine o bonus ma spende tutto quello che può per salvare la dignità del lavoro; la sinistra è quella che se uno evade le tasse non gli dà un buffetto sulla guancia o una multa irrisoria ma lo sbatte immediatamente in galera, come avviene in quasi tutti i paesi civili; la sinistra è quella che fa dello “ius soli” un principio umanitario e inderogabile e non lo sacrifica sull’altare della momentanea convenienza politica. Insomma, la sinistra è quella che pensa al bene di molti (di tutti, forse, non è cosa di questo mondo) e non invece a quello di pochi. Con grande fermezza e, soprattutto, con grande onestà.
La destra, invece, è quella che – storicamente – si preoccupa più dei profitti di chi dà lavoro e assai meno di chi lavora; la destra è quella che non vuole regole e altamente se ne infischia di ogni possibile conflitto di interessi; la destra è quella che concede benevolmente nuove assunzioni finché, grazie al Jobs Act, c’è lo Stato (ovvero tutti noi) che paga la detassazione e poi…pazienza, che i ragazzi restino precari a vita; la destra è quella che spera che diminuisca la percentuale dei più poveri perché così, girando un po’ più di soldi, può aumentare quella dei più ricchi; la destra è quella che ben accetta il “contentino” agli altri sotto forma di elemosine o bonus perché tanto la cosa non la riguarda; la destra è quella che mai vorrebbe la galera per gli evasori perché in galera potrebbero finire parecchi dei suoi sovvenzionatori; la destra è quella che riempie le sue fabbriche (e si arricchisce) di lavoratori stranieri, ma al tempo stesso scatena la paura dell’immigrato e vede lo “ius soli” come una fastidiosa fesseria, un problema del tutto “secondario”. Insomma, la destra è quella che pensa al bene di pochi e non a quello di molti (di tutti, forse, non è cosa di questo mondo). Con altrettanta grande fermezza ma, soprattutto, con altalenante onestà.
Checché ne pensino Di Maio e i suoi, per noi pari non sono. E mai lo saranno.
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