di SERGIO SIMEONE – Confermo innanzitutto le mie perplessità circa un possibile sostegno della sinistra ad un governo dei 5 stelle. Il precedente del ’76 è improponibile per due ragioni:
1. Nel ’76 il PCI poteva vantare un notevole successo elettorale, che lo metteva in condizione di trattare da pari a pari con la DC. Dall’altra parte c’era un eccezionale statista, Aldo Moro, che nutriva un grande rispetto per i il PCI ed il suo segretario e desiderava legittimarlo come partito di governo. Oggi c’è da una parte un PD bastonato, dall’altra il supponente Di Maio, che dopo aver insolentito in tutti i modi i partiti di sinistra, continua a ripetere tetragono: abbiamo un primo ministro, un grande programma ed una grande compagine ministeriale. Chi ci vuole appoggiare?
2. Non bisogna ricordare solo come è cominciata la stagione del “compromesso storico”, ma anche come si è conclusa: Moro dovette affidare la guida del governo ad Andreotti per tenere unito il partito. Andreotti diede al suo governo una impronta antipopolare, tanto da provocare un grande sciopero nazionale dei metalmeccanici ed il PCI tolse la fiducia al governo, uscendo da questa esperienza con le ossa rotte.
Detto ciò, è allora giusta la posizione del PD che ha scelto di rimanere all’opposizione? Come risposta a caldo alla batosta elettorale è comprensibile. Se si traducesse poi in un atteggiamento del tipo: noi siamo fermi in riva al fiume ed aspettiamo che passi il cadavere del nostro nemico, sarebbe un grave errore.
Esaminiamo, come fanno gli scacchisti (i quali prima di fare una mossa pensano a quale potrebbe essere la contromossa dell’avversario), quali sono le ipotesi possibili e quali sarebbero le conseguenze:
1. Il PD rimane all’opposizione e nessuno riesce a formare un governo. Si va a nuove elezioni e i 5 stelle e la Lega possono scaricare la colpa sul PD per il fatto che i loro salvifici programmi non si sono realizzati.
2. Il PD sostiene in qualche modo un governo dei 5 stelle. Questo governo tenta di realizzare il suo programma, ma viene stoppato dall’Europa quando cercherà di sforare il 3% di deficit. Monta la rabbia contro l’Europa ed contro il PD, notoriamente europeista. I 5 stelle, altrettanto notoriamente opportunisti, cavalcano la rabbia antieuropea.
3. Il PD sostiene un governo pentastellato che, anche senza l’intervento censorio dell’Europa, si rivela un disastro. Alle elezioni successive sia i 5 stelle che il PD sono travolti ed il centrodestra prende tranquillamente la maggioranza assoluta.
Non esiste una ipotesi di alleanza tra PD e centrodestra.
Ma allora il PD da questa impasse può uscire solo «cornuto e mazziato»? Secondo me ci sarebbe una quarta possibità: quella di lavorare perché nasca un governo del Presidente che copra uno spazio temporale di almeno un anno. Questa tregua può essere utile, però, solo se verrà sfruttata dal PD per avviare un programma ricostituente. Occorre cioè indire un congresso straordinario, che azzeri innanzitutto la dirigenza nazionale del partito e tutti i potentati locali che si sono formati in questi anni, soprattutto nel Mezzogiorno e di cui De Luca è il caso più emblematico, ma non il solo. Elabori poi un programma che metta al primo posto il problema dell’occupazione nel Mezzogiorno. Non sarebbe infine proprio male se questo PD («derenzizzato») creasse le condizioni per una riunificazione della sinistra. Avrà il PD la forza ed il coraggio di imboccare questo percorso? Se sì, qualche speranza di rinascita della sinistra c’è ancora.
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