di ENNIO SIMEONE – I lettori che hanno la pazienza e la cortesia di onorare della loro considerazione i commenti che il sottoscritto di tanto in tanto sottopone alla loro riflessione sanno bene da quanto scarsa simpatia per il segretario-presidente Renzi siano ispirati. Tuttavia sentiamo il dovere di dargli – in questo momento, alla vigilia della riunione della Direzione del Pd dedicata ad una analisi dei risultati elettorali – un modesto consiglio. Per carità, è nota la sua idiosincrasia per i suggerimenti altrui, anche quando da lui richiesti. Figurarsi per quelli non richiesti! Tuttavia ci proviamo.
Il consiglio riguarda la data del referendum confermativo della riforma costituzionale. Prima Renzi aveva lasciato intendere, ma poi ha detto esplicitamente che preferirebbe indirlo non più per la metà di ottobre, come aveva prospettato in un primo momento, ma per domenica 2 ottobre. Per quale motivo? Perché la Corte Costituzionale il 4 ottobre esaminerà la nuova legge elettorale Italicum, strettamente connessa alla riforma del parlamento, che rientra nei quesiti referendari, e dovrebbe pronunciarsi sulla incompatibilità di alcune norme di quella legge con le regole della Costituzione. Il suo timore è che una eventuale e non improbabile bocciatura dell’Italicum si rifletterebbe negativamente su di lui e, di riflesso, sull’esito del referendum istituzionale. E poiché Renzi ha legato – del tutto impropriamente, ma lo ha fatto – il suo futuro politico proprio all’esito di quel referendum, rischierebbe di dover fare le valigie e tornarsene a Pontassieve. Insistere sulla data del 2 ottobre, però, non gli gioverebbe per due motivi: perché commetterebbe uno sgarbo istituzionale nei riguardi della Consulta e svelerebbe il vero obiettivo di quello sgarbo: quello di evitare che gli italiani vadano a votare al referendum su una riforma scritta dallo stesso governo che ha partorito la riforma elettorale bocciata dalla Corte. Pezo el tacon del buso, come dicono in Trentino: peggio la toppa che il buco. Ci pensi, egregio segretario-presidente (o presidente-segretario, se preferisce).
Un consiglio, però, vorremmo darlo anche a Bersani: la smetta di andare in televisione a recitare metafore per giustificare il voto che ha dato in parlamento (e molti altri come lui) a favore di quel pasticcio normativo che va sotto l’etichetta di riforma della Costituzione. Dichiari limpidamente di averlo fatto per disciplina di partito, per amore della “ditta”, perché ingannato, o che altro; ma non abbia remore nel dire apertamente ciò che pensa e che si intuisce dai suoi contorti e balbettanti ragionamenti, e cioè che quella riforma è un disastro per l’Italia, è un inganno, è uno stravolgimento della logica prima ancora che della Costituzione e che va bocciata nell’interesse dell’Italia. Riconoscere gli errori e correggerli non è mai disonorevole. Disonorevole è tentare di annegarli in penose contorsioni dialettiche. Liberandosene, renderà un buon servizio al suo paese e darà coraggio anche a persone come Benigni o Cacciari, che sono venute a trovarsi nella aua stessa situazione, forse per motivi meno nobili dei suoi.
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