di DOMENICO MACERI* – “I giudici dovrebbero evitare di commentare sui candidati politici. In futuro dovrò essere più prudente”. Con queste parole la dottoressa Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema, ha fatto marcia indietro chiedendo scusa per i suoi commenti su Donald Trump. La Ginsburg aveva etichettato il candidato repubblicano come “impostore”, accusandolo di dire “qualunque cosa gli viene in mente” e di non potere “immaginare come sarebbe il Paese per quattro anni” sotto la guida di Trump. Non si è trattato di una gaffe perché i commenti della giudice Ginsburg su Trump sono stati ripetuti in tre separate interviste. Quindi si tratta di una scelta deliberata, anche se poco felice.
Il codice etico dei giudici dice che “non dovrebbero offrire il loro endorsement o dichiarare la loro opposizione ai candidati politici”.
I giudici della Corte Suprema ne sono esenti anche se in linea generale il codice etico offre una guida anche per loro. L’attuale presidente della Corte Suprema John G. Roberts jr ha ribadito questo concetto, spiegando però che “l’applicazione dei principi del codice etico può prestarsi a delle differenze, considerando le circostanze singolari della Corte Suprema”. La storia ci dice però che i giudici della Corte Suprema hanno spesso espresso opinioni politiche e infatti alcuni hanno anche partecipato direttamente in politica.
John Jay, il primo presidente della Corte Suprema americana (1789-1795), si candidò per ben due volte alla carica di governatore dello Stato di New York. John Marshall fu presidente della Corte Suprema (1801-1835) e simultaneamente servì come segretario di Stato nell’amministrazione del presidente John Adams. Charles Evans Hughes si dimise dalla Corte Suprema nel 1916 per presentarsi come candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti e, una volta mancata l’elezione, fu nominato di nuovo per servire nella Corte Suprema (1930-1941).
I legami fra i giudici della Corte Suprema e la politica non sono dunque nulla di nuovo e continuano tuttora. Basta ricordare che i giudici vengono nominati da un presidente in carica per le loro conoscenze giuridiche ma anche per le loro tendenze politiche. Ecco perché, una volta confermati dal Senato e ottenuto l’incarico, votano spesso in moltissimi casi riflettendo l’ideologia politica di chi li ha nominati.
Vi sono eccezioni ovviamente. L’attuale presidente della Corte Suprema Roberts, nominato da George W. Bush, ha votato in alcuni casi recenti a favore del presidente Barack Obama fornendo il voto vincente (5-4) per mantenere in vita Obamacare, la riforma sulla sanità dell’attuale presidente.
Le dichiarazioni politiche della Ginsburg non dovrebbero scioccare perché dopotutto anche Antonin Scalia, morto all’inizio di quest’anno, e Clarence Thomas, ambedue nominati da presidenti repubblicani, hanno espresso opinioni politiche personali sull’aborto, l’omosessualità e la pena di morte in udienze su casi pervenuti alla Corte Suprema. Scalia inoltre era stato criticato per le sue spedizioni di caccia con l’ex vicepresidente Dick Cheney, il quale aveva dei casi che lo toccavano direttamente davanti alla Corte Suprema. Anche l’ex giudice della Corte Suprema Sandra Day O’Connor era stata citata per aver detto in una conversazione che l’elezione di Al Gore nel 2000 sarebbe stata orribile per il Paese. Come si ricorda, la O’Connor votò a favore di George Bush nel 2000 quando si trattò di porre fine al conteggio dei voti in Florida, in effetti consegnando la presidenza al candidato repubblicano.
Il caso della Ginsburg però è il più eclatante perché le dichiarazioni sono state rilasciate in tre interviste. Non sorprende dunque che lei sia stata aspramente criticata persino da giornali che tendono a sinistra come il New York Times. Perché avrà dunque la Ginsburg deciso di “scendere” nel campo “sporco” della politica? Oltre ai commenti su Trump, la ottantatreenne giudice ha criticato il clima politico che finora ha impedito a Merrick Garland di essere confermato dal Senato. Garland è considerato da tutti un giudice qualificato ma i repubblicani al Senato hanno deciso di non votarlo, bloccando la nomina e lasciando la Corte Suprema con 8 membri invece dei 9 giudici che formano il plenum.
Inoltre la giudice Ginsburg non avrà gradito l’apprezzamento di Trump rivolto al giudice Gonzalo Curiel, affermando che questi non può giudicare il caso della Trump University perché è messicano (e invece non lo è, perché è nato in Indiana). Curiel non ha commentato l’accusa di Trump né lo ha fatto nessun altro giudice.
Le ovvie dichiarazioni politiche di Ginsburg hanno confermato che i giudici sono “animali politici” e che la politica inevitabilmente influisce sulle loro decisioni. L’impatto dell’onestà di Ginsburg non aiuterà l’immagine della Corte Suprema, anche se fra i tre rami del potere — legislativo, esecutivo e giudiziario —quello de i giudici è visto più favorevolmente. Secondo un sondaggio del Pew Research Center il 50 per cento degli americani vede la Corte Suprema in termini positivi, cifra notevole, ma inferiore di 14 punti in comparazione al 2008. I commenti di Ginsburg non aiuteranno l’immagine della Corte Suprema ma ci confermano che i giudici sono anche cittadini, per cui è impossibile separarsi completamente dalla politica.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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