OSSERVATORIO AMERICANO/ Bill Barr: avvocato personale di Trump o ministro di Giustizia di tutti gli americani?

di DOMENICO MACERI/

Flynn si è dichiarato colpevole di aver mentito alla Fbi sui suoi contatti illegali con i russi. Le sue menzogne non diventano verità. Il ritiro delle accuse non lo assolve, ma incrimina Bill Barr. Si tratta della peggiore politicizzazione della storia del Dipartimento di Giustizia”. Così Adam Schiff, parlamentare democratico della California, presidente della Commissione Intelligence alla Camera.

Schiff, come va ricordato, è stato uno dei leader del suo partito che ha condotto l’impeachment di Donald Trump nel caso dell’Ucrainagate. Il 45esimo presidente è stato alla fine assolto dal Senato americano.  Le sue dure parole su Barr non sono nuovissime in riferimento al Procuratore Generale degli Stati Uniti. Non sono nemmeno ingiustificate, dato l’ultimo intervento di Barr per fare cadere le accuse a carico di Mike Flynn, il quale aveva ammesso sotto giuramento di avere mentito alla Fbi nelle indagini del Russiagate. Il generale Flynn era stato per poche settimane consigliere della Sicurezza Nazionale nell’amministrazione di Trump. L’inquilino della Casa Bianca lo aveva licenziato il 13 febbraio del 2017 dopo soli 24 giorni di servizio perché aveva mentito al vice presidente Mike Pence. Ciononostante, Trump aveva fatto del suo meglio per difenderlo, chiedendo anche all’allora direttore della Fbi, James Comey, di andare leggero su Flynn definendolo “una brava persona”.

La reazione di Schiff su Barr, lievemente partisan, va però compresa anche dal punto di vista giuridico e politico. Ce lo conferma anche la richiesta di dimissioni di Barr inclusa in una lettera pubblicata dal gruppo “Protect Democracy” e firmata da 2mila ex funzionari del Dipartimento di Giustizia. Il ritiro delle accuse a Flynn ha anche attirato l’attenzione critica del giudice Emmet Sullivan della Corte del Distretto di Washington D.C., incaricato del processo, il quale ha deciso di bloccare tutto, rinviandone la conclusione. Sullivan ha deciso di chiedere contributi di “amicus curiae briefs”, analisi e informazioni che lo aiuteranno sul modo di procedere, alimentando implicitamente dubbi sulla mozione poco ortodossa di Barr. In questa luce Sullivan è andato oltre, incaricando John Gleeson, pensionato e giudice federale di New York, di esaminare il caso e inviargli la sua raccomandazione se archiviarlo o portandolo a conclusione, decisione che per legge spetta a lui.

Come i lettori ricorderanno, il processo di Flynn si sarebbe dovuto concludere nel mese di novembre del 2018, ma Sullivan aveva rimandato l’emissione della sentenza concedendogli un po’ più di tempo per cooperare ulteriormente con gli investigatori del Russiagate sotto la guida di Robert Mueller. Sullivan aveva avvertito Flynn che non gli poteva risparmiare il carcere nella sua sentenza, come avevano anche richiesto i procuratori, soddisfatti della collaborazione di Flynn. L’ammissione di Flynn di avere mentito alla Fbi e le informazioni date agli investigatori di Mueller gli avevano risparmiato i suoi lavori potenzialmente illegali di lobbista per Paesi stranieri e avevano anche aiutato il figlio Michael G. Flynn, anche lui coinvolto nelle indagini. Inoltre, al processo, Flynn si era pentito delle sue azioni, presentando le sue scuse al giudice. Quindi a quel tempo Michael Flynn aveva ottenuto il risultato migliore.

Le cose sono poi cambiate con la conclusione delle indagini sul Russiagate e l’entrata in scena di Barr nei panni di ministro della Giustizia. Barr è stato accusato di agire come un burattino di Trump per il ritiro della accuse a Flynn. Va ricordato che Trump aveva licenziato Jeff Sessions, il suo primo ministro di Giustizia, per non avere impedito le indagini del Russiagate. Barr, invece, mentre lavorava da avvocato privato, scrisse una lunga lettera a Trump nel 2018 in cui spiegava perché le indagini in corso sul Russiagate erano illegali. Trump capì da quella missiva che aveva trovato il “suo” ministro di Giustizia e gli assegò la nomina nel mese di dicembre del 2018 e alla fine fu confermato dal Senato a febbraio del 2019.

Trump ha infatti riconosciuto il valore di Barr come “suo” ministro di Giustizia in una recente intervista, in cui ha ammesso che questi non avrebbe mai approvato le indagini del Russiagate. Trump non ha mai digerito che la sua vittoria nel 2016 sia da attribuire almeno in parte agli aiuti ricevuti dai russi con la loro interferenza per danneggiare Hillary Clinton. Poco importa al 45esimo presidente persino la conferma della Commissione Intelligence del Senato, dominata dai repubblicani, che ha recentemente finito le sue indagini ed ha confermato l’interferenza russa nell’elezione del 2016. Trump però continua a ripetere che il Russiagate era una caccia alle streghe. Il ritiro delle accuse a Flynn fa parte della ricostruzione narrativa per confermare la sua visione della realtà. Anche il caso del suo ex amico Roger Stone, adesso in carcere per le sue attività illegali nel Russiagate, ha fatto emergere le attività per etichettare le indagini di Mueller come illegali. Prima della sentenza di Stone però l’attuale ministro di Giustizia aveva raccomandato una pena più leggera, ricevendo le congratulazioni del presidente. Questo annuncio ha causato le dimissioni dei quattro procuratori del caso, considerando la richiesta un oltraggio alla giustizia.

Anche nel caso di Stone, Barr si è macchiato di azioni di giustizia partigiane, ricevendo le lodi del suo capo ma il biasimo degli analisti indipendenti. Barr in effetti continua a dimostrarsi più  un’arma politica di Trump che un ministro di Giustizia indipendente al servizio del Paese. Una recentissima intervista ci conferma che lui accetta le vedute politiche di Trump, il quale si considera attaccato ferocemente dai democratici e dai media semplicemente per ragioni politiche. Barr ha sostenuto che il clima politico è divenuto talmente tossico che la “gente ha perso ogni senso di giustizia”. Parlava degli altri o il suo termine “gente” era riferito a se stesso?

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com).

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