di DOMENICO MACERI* – Dopo la sconfitta alla Camera sulla mancata abrogazione di Obamacare i repubblicani avevano bisogno di una vittoria per dimostrare che possono governare e l’hanno ottenuta al Senato con la conferma di Neil Gorsuch alla Corte Suprema (voto finale 54 sì, 45 no e un senatore assente).
Si tratta di una vittoria temporanea e anche molto costosa perché Mitch McConnell è stato costretto a cambiare le regole del Senato facendo uso della “nuclear option”, l’opzione nucleare con la quale si è eliminata la lunga storia del filibuster. Come si sa, il filibuster – che richiedeva la super maggioranza di 60 voti per ottenere “cloture”, cioè la fine ai dibattiti per procedere al voto – dava in certa misura il potere al partito di minoranza di mettere freni ai possibili abusi della maggioranza al Senato.
L’approvazione dei giudici della Corte Suprema in passato avveniva quasi come routine. Si ricorda che Antonin Scalia, giudice molto conservatore, deceduto nel febbraio dell’anno scorso, era stato nominato nel 1986 all’unanimità. L’uso del filibuster per affrontare nomine di giudici alla Corte Suprema era raro. Si ricordano i casi di William H. Rehnquist nel 1971 e 1986 e di Samuel Alito nel 2006. Ambedue furono però confermati.
Il caso di Gorsuch riflette in un certo senso la tossicità di Washington negli ultimi tempi. I repubblicani avevano fatto un’arte della loro ostilità a Barack Obama ostacolando l’agenda politica della Casa Bianca. Hanno continuato questo ostruzionismo con il loro “gran rifiuto” di prendere in considerazione la nomina di Merrick Garland da parte di Obama in sostituzione di Scalia. La scusa dei repubblicani è stata che in un anno di elezioni presidenziali non si deve procedere a nomine per la Corte Suprema. Una regola inesistente, che McConnell è riuscito però ad imporre a tutti i senatori del suo partito, i quali non hanno dato nessuna chance a Garland sapendo che le qualità moderate del giudice non avrebbero lasciato altra strada che la conferma.
I senatori democratici si sentivano incoraggiati dalla loro “vittoria” su Obamacare alla Camera e considerando l’ombra del Russiagate che erode la legittimità di Trump hanno fatto uso del filibuster ma per l’ultima volta. Se la legittimità del presidente rimane dubbia, anche una sua nomina alla Corte Suprema si colora di incertezze, come ha tuonato Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts. Warren ha detto che sarebbe “pazzesco” approvare Gorsuch, nominato da Trump, quando l’amministrazione del 45° presidente è indagata dalla Fbi con possibili capi di accusa che eventualmente potranno arrivare alla Corte Suprema. Un giudice nominato da Trump potrebbe spostare l’ago della bilancia decidendo se l’attuale inquilino della Casa Bianca o i suoi collaboratori hanno commesso reati. Inoltre l’impopolarità di Trump indeboliva la legittimità della nomina dato che solo il 34 per cento degli americani approvava finora il suo operato, secondo un sondaggio dell’Investor’s Business Daily (effettuato, però, prima dell’attacco missilistico alla Siria, ndr).
Ovviamente la posizione dei democratici, anche se non unanime, si basava sull’ipotesi che il seggio di Gorsuch era stato “rubato”, dato che apparteneva a Garland. Ufficialmente, però, Chuck Schumer, leader dei democratici al Senato, ha spiegato che l’opposizione a Gorsuch si indirizzava contro l’estremismo del giudice, le sue risposte evasive e la sua insensibilità verso i diritti delle donne. Non ha tutti i torti. Gorsuch, per esempio, non si è incontrato con tre senatrici democratiche adducendo ragioni di “tempo”.
L’eliminazione del filibuster però era stata avviata dai democratici già nel 2013, quando l’allora presidente del Senato, Harry Reid, frustrato dall’abuso dei repubblicani che bloccavano tutti i giudici per le corti d’appello nominati da Obama, decise di eliminarlo mantenendolo però per la Corte Suprema. L’eventuale eliminazione del filibuster anche per la Corte Suprema, messo in atto da McConnell (52 voti sì, 48 no), aumenterà la tossicità a Washington, ma avrà anche un notevole effetto sulle nomine di futuri giudici. In passato la presenza del filibuster spingeva i presidenti a non nominare estremisti. Il fatto che 60 voti al Senato fossero potenzialmente necessari per l’approvazione metteva freni a giudici estremisti.
Alcuni senatori moderati avevano affermato che avrebbero cercato di trovare un compromesso per evitare l’eliminazione del filibuster. Le negoziazioni al Senato sono però divenute difficilissime a differenza del passato quando “alla fine si trovava qualche soluzione”, come ha dichiarato John McCain, senatore dell’Arizona e candidato presidenziale repubblicano nell’elezione presidenziale del 2008. McCain però, come altri “venerabili” senatori del Gop, non ha fatto nulla per impedire a McConnell di bloccare la nomina di Garland, che ha avvelenato ancor di più il clima tossico di Washington. Se dunque i democratici ci hanno messo del loro per l’eliminazione del filibuster sono stati i repubblicani dare “il colpo di grazia”. “Sarà un duro colpo all’istituzione del Senato”, ha concluso McCain. Non solo. Anche un duro colpo per il Paese, considerando l’importanza della Corte. Basti solo ricordare che fu la Corte Suprema a bloccare il riconteggio dei voti in Florida nel 2000, che ci regalarono George W. Bush come presidente.
*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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