di DOMENICO MACERI* – Fino a qualche giorno prima che l’FBI ritirasse fuori la faccenda delle mail di Hillary Clinton, cioè a dieci giorni dal voto per eleggere il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha continuato a ripetere che se perderà sarà perché “l’elezione è truccata”. In non poche occasioni il magnate di New York ha dichiarato che anche Bernie Sanders, sconfitto da Hillary Clinton alle primarie democratiche, aveva detto la stessa cosa. Se dalla bocca di Trump l’asserzione suona falsa il richiamo al senatore del Vermont gli fa acquistare un minimo di legittimità. Ma quando Sanders diceva che il sistema era truccato si riferiva alla mancanza di obiettività del Partito Democratico che con la sua politica e le sue regole favoriva la Clinton. Sanders aveva ragione.
L’ex first lady era partita come super favorita mentre Sanders riceveva poco più dell’uno per cento dei consensi. Alla fine delle primarie Sanders ha ricevuto il 43 per cento dei voti (13.206.428) e la Clinton il 55 per cento (16.914.722). Sanders aveva aggiunto alle sue lamentele il fatto che anche prima che si iniziasse la corsa la sua avversaria aveva già ottenuto il supporto della maggior parte dei superdelegati. In sintesi, Sanders era partito da underdog e nonostante i suoi svantaggi fece moltissimi progressi dando filo da torcere all’ex first lady.
Le argomentazioni di Sanders erano legittime, anche se alcune non molto. Sanders durante la sua lunga carriera non aveva fatto parte del Partito Democratico. Si era sempre dichiarato indipendente, ma per la presidenza fece la scelta di cambiare rotta e correre come democratico. La Clinton, invece, ha una lunga storia di appartenenza del Partito Democratico anche se fino al terzo anno di università aveva lavorato in campagne repubblicane. In ogni modo, Sanders ha ragione di dire che nella lotta per la nomination l’ex first lady rappresentava l’establishment che include anche la struttura del Partito Democratico. Le rivelazioni di Wikileaks, anche se non totalmente affidabili, ci lasciano capire che il Partito Democratico aveva favorito l’ex first lady.
Trump non ha tutti i torti dunque quando insinua che ci possono essere irregolarità o favoritismi, ma parlare di elezioni truccate riferendosi a Sanders non funziona. Se è vero che lui nella fase iniziale della corsa alla candidatura per la Casa Bianca ha dovuto lottare contro l’establishment repubblicano (che puntava su Jeb Bush), sotto molti aspetti era lui stesso – e continua ad esserlo – uomo dell’establishment, se non altro per i suoi soldi, nonostante la probabile esagerazione sulla entità effettiva del suo patrimonio. Insomma non si può dire che faccia parte della categoria dei poveri.
Per quanto riguarda l’altra asserzione di Trump, cioè che l’elezione è truccata perché i media sono disonesti e favoriscono i candidati di sinistra, si sbaglia di grosso. In grande misura lui si è conquistata la nomination del Partito Repubblicano grazie alla complicità dei media. Secondo alcuni calcoli di Cnn Money, Trump ha ricevuto più di due miliardi di dollari di pubblicità gratuita. I media hanno aperto i loro canali a Trump in grand parte perché attratti dai profitti che il magnate ha creato con gli indici di ascolto.
Trump esagera, come spesso fa con tutto ciò che dice, per comunicare con elettori poco accorti, incapace di accettare sconfitte e accusando gli altri o il sistema quando l’esito delle sue battaglie è negativo.
Sanders invece, nonostante la sconfitta, ha capito che, malgrado le sue obiezioni, il sistema funziona. Dopo una lunga lotta con la Clinton lui l’ha abbracciata ed ha fatto una forte campagna contro Trump per fare eleggere la sua avversaria delle primarie.
La Clinton, da parte sua, nel 2008, nonostante analoghi vantaggi, non era riuscita ad avere la meflionelle primarie del Patito democratico su un giovane senatore di nome Barack Obama. Alla fine però anche lei ha riconosciuto la sua sconfitta ed ha cooperato con il vincitore accettando persino l’incarico di Segretario di stato che Obama le offrì. Sanders ha anche lui accettato la sconfitta e sta cooperando con la vincitrice. E Trump? Fino ad adesso ci ha detto che accetterà il risultato dell’elezione solo se lui vincerà. Un atteggiamento da narcisista immaturo che stride il suo slogan “America first”.
*Domenico Maceri, docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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