OSSERVATORIO AMERICANO/ Gli indugi di Nancy Pelosi nelle procedure di impeachment hanno eroso le manovre pro-Trump

di DOMENICO MACERI* «Non c’è nessuna possibilità che il presidente sarà rimosso dalla sua carica». Queste le parole di Mitch McConnell, senatore del Kentucky e presidente della Camera Alta. McConnell si riferiva agli articoli di impeachment approvati dalla Camera, che alla fine sono stati consegnati al Senato, come esige la Costituzione.

Non è la prima volta che McConnell esprime una simile posizione, esplicitamente di parte. In precedenza aveva addirittura dichiarato che stava preparando il processo con la “piena coordinazione” dei legali della Casa Bianca. McConnell, da senatore e adesso giurato nel processo, ha già deciso che il presidente Donald Trump è innocente e per questo stava programmando un processo sbrigativo per mettere la spinosissima questione da parte.

Avendo sentito le dichiarazioni di McConnell, Nancy Pelosi, speaker della Camera, si era rifiutata inizialmente di mandare immediatamente gli articoli di abuso di ufficio e ostruzione approvati dalla Camera. Si credeva che la speaker avesse deciso di non mandare gli articoli al Senato per togliere a Trump la possibilità di assoluzione, mantenendo la macchia dell’impeachment sulle spalle del 45esimo presidente. Alla fine, però, sotto pressione dei senatori democratici, la Pelosi ha ceduto e ha mandato gli articoli al Senato, includendo, come si richiede, i cosiddetti “manager” dell’impeachment, ossia gli avvocati che presenteranno il caso al Senato.

Come si prevedeva, il ruolo di leadership in questo processo per la Camera sarà coperto da Adam Schiff, parlamentare della California, e Jeff Nadler, parlamentare di New York, presidenti rispettivamente della Commissione Intelligence e Giudiziaria. Altri cinque parlamentari democratici li assisteranno.

Dalla parte opposta, in difesa di Trump, ci dovrebbero essere Pat Cipollone, legale alla Casa Bianca, e Jay Sekulow, avvocato personale del presidente.

Il presidente della Corte Suprema John Roberts ha preso il ruolo di leader al Senato nel processo, prestando il giuramento e facendolo fare anche ai 100 senatori, come richiede la Costituzione.

Il processo sarebbe dovuto iniziare tre settimane fa, pochi giorni dopo il voto di impeachment alla Camera, ma la Pelosi ha tentato di capire il modo in cui McConnell avrebbe organizzato le regole delle procedure che spettano al Senato. La speaker temeva giustamente un processo sbrigativo e quindi ha temporeggiato, ottenendo buoni risultati.

Le tre settimane di ritardo hanno fatto venire a galla alcuni senatori moderati che non sono d’accordo con un processo lampo per assolvere Trump. Alcuni di questi senatori non volevano dare l’impressione di confermare quanto suggerito da McConnell, ossia un processo fasullo che equivale a un insabbiamento. Il senatore Mitt Romney, repubblicano dell’Utah, ha persino dichiarato che “le accuse mosse a Trump sono serie e meritano considerazione con tutte le argomentazioni a favore e contro”. La senatrice Susan Collins, del Maine, ha anche lei espresso preoccupazioni sul processo lampo di assoluzione. Alcuni altri senatori si sono uniti a questi due togliendo la maggioranza a McConnell favorevole a un processo sbrigativo di assoluzione immediata.

Vi sarà dunque con processo regolare anche se i legali di Trump continueranno ad insistere su una procedura brevissima, sperando che non superi le due settimane. Va ricordato che il processo di impeachment di Andrew Johnson nel 1868 durò 11 settimane e quello di Bill Clinton nel 1999 durò più di un mese..

McConnell però ha già fissato procedure che non richiedono testimoni anche se durante il processo la richiesta di testimoni potrà essere fatta e approvata dalla semplice maggioranza dei senatori. Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato, ha già annunciato che vuole richiedere le testimonianze di Mick Mulvaney, chief of staff pro tempore di Trump, John Bolton, ex consigliere di sicurezza nazionale alla Casa Bianca, Michael Duffey e Robert Blair, ambedue funzionari del presidente. Le testimonianze di Bolton potrebbero essere esplosive poiché nel caso di Ucrainagate l’ex consigliere avrebbe dichiarato di non voler avere nulla a che fare con il qui pro quo di Trump con il presidente ucraino Volodimir Zelensky etichettandolo come “spaccio di droga”. Trump, da parte sua, in un’intervista televisiva ha affermato che invocherebbe il privilegio presidenziale per impedire a Bolton di offrire testimonianze.

Ad aggiungere legna al fuoco nell’imminente processo le ultimissime notizie dovrebbero causare ulteriori grattacapi ai difensori di Trump. Il Washington Post ci informa che messaggi telefonici fra Rudy Giuliani, ex legale di Trump, e due dei suoi collaboratori avevano scambiato informazioni in cui si parla di sorveglianza e possibili minacce a Marie Yovanovitch, ex ambasciatrice in Ucraina. Uno di loro, Lev Parnas, ha concesso interviste ai media in cui dichiara che Trump sapeva tutto sugli imbrogli del qui pro quo con Zelensky. Il New York Times da parte sua riporta che il servizio segreto russo ha hackerato il sito della compagnia ucraina di gas Burisma per la quale Hunter Biden aveva lavorato nel consiglio di amministrazione. Sembra che i russi stessero cercando informazioni negative sul figlio dell’ex vicepresidente americano Joe Biden, continuando la loro interferenza nelle elezioni americane per aiutare Trump.

Il ritardo di Pelosi nell’inviare gli articoli di impeachment al Senato ha legato le mani a McConnell, costringendolo a mettere in atto un vero processo. Il mancato insabbiamento progettato dal presidente del Senato potrebbe però produrre frutti politici a quei senatori repubblicani in situazioni difficili per la rielezione a novembre. Ciò non toglie però una piccola vittoria a Pelosi che ha organizzato l’impeachment alla Camera e ha influenzato dall’esterno la condotta di McConnell al Senato. Trump da parte sua è rimasto praticamente silenzioso sul processo, delegando a McConnell l’iniziativa. Quanto tempo rimarranno silenziosi i suoi tweet velenosi contro quei senatori repubblicani che gli hanno tolto l’assoluzione in tempi rapidissimi? Lo sapremo fra breve.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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