di DOMENICO MACERI* – “Hai paura della mia presidenza perché tu saresti in galera”: con queste parole Donald Trump ha minacciato Hillary Clinton durante il recente dibattito di St. Louis. Una frase che richiama i paesi sottosviluppati dove non è raro che chi perde l’elezione sia messo in prigione dal vincitore. In America, paese democratico, non è mai avvenuto in tutta la sua storia.
Trump ne ha sparato di grosse durante la campagna; ma questa minaccia non dovrebbe sorprendere perché quando si trova alle corde scatena assalti personali ai suoi avversari. Due giorni prima del dibattito il Washington Post aveva diffuso un video in cui si sentiva Trump discutere del suo modo di trattare le donne. Parlando con Billy Bush in un video del 2005 si sentono frasi volgari di Trump sui suoi rapporti con le donne che la cronaca ha già trattato abbastanza. Lo stesso giorno del rilascio del video Trump ha fatto un debole tentativo di scusarsi dicendo però che Bill Clinton ha fatto molto peggio con le donne.
Pressato da Anderson Cooper, uno dei due conduttori del dibattito, Trump ha negato di avere mai molestato donne. Pochi giorni dopo, però, dieci donne hanno testimoniato di essere state molestate da Trump. Lo staff del candidato repubblicano ha smentito queste accuse ricorrendo alle solite minacce di denunciare il New York Times e altri mezzi di comunicazione.
Come spesso succede con Trump, quando qualcosa non gli va bene è incapace di chiedere scusa e andare avanti con altri temi importanti. Al dibattito la Clinton ci ha ricordato che Trump è incapace di chiedere scusa reiterando gli insulti del magnate rivolti alle donne, alla famiglia Gold Star Khan, al giudice Gonzalo Curiel, ecc. Trump funziona al livello dei ragazzi bulli che non ammettono di dove chiedere scuse. Una volta che si vede attaccato la reazione di Trump è quella di contrattaccare.
La Clinton non è caduta nella trappola di fango tesa dal suo avversario con le sue accuse al marito. Citando Michelle Obama, la candidata democratica ha detto che “contro i colpi bassi, noi voliamo alto”. La Clinton ha capito che in una lotta a base di scambio di fango lei ne uscirebbe sconfitta, come è avvenuto agli avversari di Trump alle primarie. Ci perderebbe anche il paese, che aspira ad avere un presidente decoroso per rappresentare tutti gli americani e ispirare stabilità al resto del mondo.
Trump però non sembra capace di uscire dalla sua lotta libera fangosa. Ecco come si spiegano le sue recenti reazioni alle prese di posizione dei leader repubblicani che lo hanno abbandonato, scioccati dal suo ultimo scandalo. Il senatore John McCain dell’Arizona, la senatrice Kelly Ayotte del New Hampshire, e Paul Ryan, speaker della Camera si sono sganciati da Trump. Lui li ha ripagati con tweet velenosi.
Trump ha “celebrato” con un tweet l’abbandonato da parte dell’establishment repubblicano, dicendo che finalmente potrà essere se stesso, dato che non avrà più le “manette del suo partito”. Un atteggiamento politicamente disastroso, che riflette in grande misura l’esasperazione di Trump, che si trova adesso completamente nelle mani di Stephen Bannon, suo manager in capo della campagna elettorale, ex direttore di Breibart News, sito internet ultra conservatore. Bannon, come si sa, aveva condotto una campagna contro Eric Cantor, numero due alla Camera con John Boehner, facendogli perdere il posto con il supporto di un candidato di estrema destra. Bannon aveva cercato di fare la stessa cosa con Paul Ryan senza però riuscirvi.
I sondaggi ci dicono che Hillary Clinton continua a rafforzare la sua posizione e già si sentono voci che Trump ha perso quasi tutte le possibilità di vittoria. Il sito di Nate Silver, guru delle previsioni elettorali americane, assegna all’ex first lady più dell’80 per cento delle possibilità di vittoria. Inoltre sondaggi interni del Partito Democratico e Repubblicano, non disponibili al pubblico ma accennati in qualche misura ad alcuni giornalisti, dicono che la situazione di Trump è peggiore di quella presentata dai sondaggi pubblici.
Essere legati a Trump vuol dire dunque essere su una nave che affonda. I leader del Partito Repubblicano sono preoccupatissimi per il timore di perdere la maggioranza al Senato e forse anche quella alla Camera. Ciò spiegherebbe in parte le indicazioni di Paul Ryan, che concentrerà i suoi sforzi per negare la maggioranza legislativa a Hillary Clinton, nella previsione di una sconfitta repubblicana nella corsa alla Casa Bianca.
Al dibattito di St. Louis un cittadino ha chiesto ai due candidati se potranno essere presidenti di tutto il Paese. date le divisioni viste nella campagna elettorale. Sarà questa la sfida di Hillary Clinton?
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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