OSSERVATORIO AMERICANO/ La partita del “socialista” Sanders

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – 

“Mi piace ma credo che l’America non eleggerà un socialista… perché il termine crea una barriera”. Ecco come David Axelrod ha giudicato le sorte che tocca a Bernie Sanders nella corsa alla conquista della Casa Bianca. Axelrod ne sa qualcosa, dato che fu uno dei principali consiglieri di Barack Obama nella campagna presidenziale del 2008. Ha ragione che  dichiararsi socialista come ha fatto  Sanders causa problemi negli Stati Uniti perché la destra ha  demonizzato il termine. Per non pochi americani essere socialista evoca subito l’immagine di regimi totalitari in cui un partito controlla tutto e toglie la libertà ai cittadini.
Sanders, senatore del Vermont e candidato alla nomination del Partito Democratico, ha riconosciuto che si ha una visione errata del termine socialismo e ha deciso di tenere un discorso alla Georgetown University di Washington per spiegare che cosa vuol dire per lui quella parola.
Come si sapeva già dai numerosi comizi e dalle sue partecipazioni ai due dibattiti  del Partito Democratico, Sanders ha reiterato la sua visione di un sistema  simile a quello che già esiste in molti Paesi occidentali. Si tratta di un sistema capitalista in cui il governo impone alcuni freni per supportare i più bisognosi e affrontare  gli aspetti che non competono all’iniziativa privata, come la difesa e le infrastrutture.
La piattaforma di Sanders non punta alla eliminazione del capitalismo in America ma mira ad apportare dei cambiamenti che riducano le disuguaglianze fra ricchi e poveri. Il senatore intende aumentare le tasse alle classi più abbienti, investire in programmi sociali, offrire l’accesso gratuito all’università pubblica. Inoltre crede che Obamacare, la riforma sulla sanità dell’attuale inquilino alla Casa Bianca, sia insufficiente. Auspica dunque un sistema “universale”, in effetti un ampliamento del Medicare, la sanità per gli anziani. Sanders crede anche che il governo deve investire nelle infrastrutture, che negli ultimi anni sono state messe da parte dal controllo repubblicano a Washington.
Sanders insomma si rifà all’ideologia di Franklin Delano Roosevelt. Il quale per fare uscire l’America dalla depressione, negli anni trenta, investì abbondantemente creando programmi come il Social Security che esiste tuttora. Roosevelt era stato anche lui etichettato come socialista ma anche il programma di Medicare approvato nel 1965 si è ispirato alla Social Security.
In effetti, questi due programmi, basilari per gli anziani, non sono altro che esempi classici di socialismo ma molti americani non li riconoscono come tali. Ciononostante sono molto popolari e i repubblicani sono solo riusciti a controllarli cercando di eroderli e spaventare tutti paventando che porteranno il Paese alla bancarotta.
I sondaggi ci dicono che, nonostante la sua etichetta di socialista, Sanders ha avuto abbastanza successo, anche se non rappresenta un seria minaccia per Hillary Clinton nella conquista della nomination. In un certo senso però lui si è creato un percorso difficile usando il termine socialista  ben sapendo che la destra lo aveva già demonizzato come hanno fatto con il termine liberal. Nessuno dei candidati democratici usa esplicitamente il termine liberal perché anch’esso carico di negatività per la destra e, al tempo stesso, non difeso dalla sinistra.
D’altra parte bisogna ammirare Sanders per la sua autenticità. La sua corsa per la nomination sembrava all’inizio donchisciottesca e sotto molti aspetti continua ad esserlo. Ciononostante bisogna ricordare che Sanders ha parlato di una “rivoluzione” che svegli tutti coloro che non si interessano alla politica e si presentino alle urne. Ha avuto successo, come dimostrano, oltre ai sondaggi (Clinton 58 per cento, Sanders 30 per cento), i milioni di piccoli donatori singoli che gli hanno inviato contributi e le folle che si presentano ai suoi comizi.
Sanders non è considerato un bersaglio dai candidati alla nomination del Partito Repubblicano credendolo troppo estremista per vincere la nomination democratica. Infatti, si sono concentrati a scoccare le loro frecce contro Hillary Clinton considerando l’ex first lady la loro più probabile avversaria all’elezione del novembre prossimo.
Avranno ragione. Ciononostante il senatore del Vermont ha mantenuto vivi alcuni temi – come quello della disuguaglianza economica –  che senza di lui sarebbero rimasti soltanto rumori di sottofondo. E’ questo un tema che anche Hillary Clinton ha toccato, ma non con la stessa passione di Sanders. Alla fine non sarebbe sorprendente se in un’eventuale vittoria dell’ex first lady alle elezioni del novembre prossimo Sanders andasse a finire nell’amministrazione come segretario nell’ambito degli affari economici.

* Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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