OSSERVATORIO AMERICANO/ L’ardua strada della riforma fiscale repubblicana

di DOMENICO MACERI* Non essendo riusciti ad eliminare l’Obamacare, la riforma sulla sanità associata con Barack Obama, i repubblicani sono assetati di un successo legislativo per dimostrare che possono governare. Non dovrebbe essere difficile considerando il controllo repubblicano della maggioranza legislativa in ambedue le Camere e il controllo della Casa Bianca.
La riforma fiscale, vedi tagli alle tasse, dovrebbe essere una partita facile per i repubblicani dato che le imposte sempre più basse fanno parte del loro DNA. Sfortunatamente per loro e per i benestanti, che ovviamente beneficerebbero della riforma fiscale, le fratture del Partito Repubblicano e l’impopolarità del tema con la maggioranza degli americani ci fanno credere che si ripeterà lo stallo tipico di Washington.

Il piano di riforma fiscale era stato annunciato con un framework (schema) di nove pagine divenuto il “Tax Cuts and Jobs Act”, un “libricino” di 409 pagine che diverge poco dai punti cardini della prima versione. La stragrande maggioranza dei tagli beneficerebbe i benestanti con alcune briciole per la classe media e i poveri. La riforma della Camera aumenterebbe il deficit di 1,7 trilioni di dollari, secondo il Congressional Budget Office, agenzia non-partisan del governo. Due terzi dei benefici andrebbero ai ricchi e alle aziende, secondo il Joint Committee on Taxation, altra agenzia non-partisan del governo. Inoltre l’8 per cento delle famiglie di classe media (reddito di 75 mila dollari)  pagherebbe più tasse nel 2018 mentre 2 terzi di questo gruppo risparmierebbe 700 dollari. Questa differenza si spiega con l’eliminazione di alcune detrazioni della proposta.  L’Institute on Taxation and Economic Policy, di tendenze liberal, aggiunge che un terzo dei benefici andrebbe all’uno percento dei più ricchi in America.

Il piano della Camera che sarà votato fra breve non soddisfa le esigenze del Senato che sta sviluppando la sua versione. Almeno una decina di senatori non condividono il piano dei parlamentari ma bisogna anche aggiungere la “Byrd Rule”, regola del Senato che non permette un aumento del deficit oltre dieci anni. La violazione della regola impedirebbe al Senato di approvare la riforma fiscale con la “reconciliation” che richiede solo 51 voti invece di essere soggetta a 60 voti a causa del cosiddetto filibuster, tipico delle leggi regolari. Come si sa, i repubblicani hanno una maggioranza risicata nella Camera alta (52 a 48) e se solo tre senatori repubblicani sarebbero opposti e i democratici voterebbero compatti Trump rimarrebbe con la penna in mano senza firmare la tanto anelata legge.

La Casa Bianca ha già affermato che la classe media non dovrebbe subire effetti negativi dalla riforma. In caso contrario Trump non firmerebbe la legge come sembrerebbe da aspettarsi nel caso in cui il Senato non dovesse apportare necessarie modifiche. Ma il Senato non avrà nemmeno molto spazio per creare  una legge che soddisfi sia la Camera bassa, Trump e ovviamente il Senato stesso. Il senatore Rand Paul  del Kentucky crede che le tasse dovrebbero essere abbassate per tutti e non si preoccupa dell’uno percento dato che secondo lui questi individui pagano già un terzo di tutte le tasse. Le tasse dovrebbero essere ridotte per tutti continua Paul e il senatore Ted Cruz del Texas concorda. Il senatore Bob Corker del Tennessee e il collega Jeff Flake del Utah, i quali hanno recentemente criticato aspramente i comportamenti di Trump, sono preoccupati per il deficit.

In passato tutti i repubblicani si preoccupavano per il deficit spiegando in tal modo il loro desiderio di tagliare i programmi sociali senza però colpire le forze armate. Di questi tempi i repubblicani sembrano avere dimenticato il deficit che in realtà ha un effetto negativo sull’economia dato che i prestiti del governo fanno la concorrenza alle aziende per  i fondi necessari. Da rilevare anche il fatto che le tasse in America non sono alte in comparazione ad altri Paesi industrializzati. Infine, “prestarsi” soldi per ricompensare i benestanti che negli anni recenti hanno beneficiato in modo astronomico ampliando la diseguaglianza fra ricchi e poveri sembra completamente fuori dalla logica.

Gli americani che hanno sentito parlare della riforma fiscale repubblicana, nonostante le sue complessità, non sono favorevoli. Secondo un sondaggio del Washington Post il 50 per cento è contrario, il 25 percento è favorevole, e il resto non ha opinione.

Quando un partito spende capitale politico vi saranno conseguenze alle successive elezioni. La riforma sulla sanità di Obama del marzo del 2010 fu usata dai repubblicani per riconquistare la maggioranza alla Camera nel 2010 e eventualmente il Senato nel 2014. Al momento è difficile credere che la riforma fiscale andrà in porto date le esigenze divergenti fra la Camera e il Senato. Trump ha inviato un messaggio dall’Asia nel quale sostiene che con la riforma fiscale repubblicana lui e i ricchi ne escono “perdenti”. La sua credibilità però è ai livelli più bassi. Le fonti obiettive ci indicano esattamente il contrario di quanto asserisce il 45° presidente.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

Commenta per primo

Lascia un commento